Arlecchino Furioso. Viaggio all'origine della risata.

23.12.2023

di Franco Travaglio

Quando leggiamo di 'slapstick comedy' forse non ci facciamo caso, ma all'origine della comicità fisica, quella più sfrenata, delle comiche alla Buster Keaton o Stanlio e Ollio, c'è proprio lui, Arlecchino. E sì, perché slapstick altro non è che la traduzione anglosassone del nostro 'batacchio', (in veneto batocio, da cui "mi son Arlechin Batocio/Orbo de na recia e sordo da un ocio"), il bastone progenitore di tante gag, comiche zuffe, inseguimenti, che hanno ispirato tutta la comicità visiva e corporea, dalle torte in faccia passando da Bud Spencer e Terence Hill, per arrivare a Fantozzi e Mr. Bean.

Un lodevole ritorno alle origini di tale fortunata tradizione l'ha compiuto Stivalaccio Teatro, compagine vicentina di teatro popolare giovane ma con alle spalle 16 anni di attività, tutti impiegati a riscoprire i più stimolanti canovacci della clownerie e della commedia dell'arte.

L'esperienza che abbiamo vissuto al Gobetti di Torino per la stagione dello Stabile si riferisce all'Arlecchino Furioso, curato per la scrittura da Giorgio Sangati, Sara Allevi, Anna De Franceschi, Michele Mori e Marco Zoppello, che firma anche la briosa e inventiva regia, oltre a vestire con tempi e modi impeccabili la maschera del protagonista.

In tanto studio la compagnia pare aver distillato la quintessenza della commedia dell'arte: il divertimento. Inteso come intrattenimento del pubblico, che se la spassa davvero di gusto, ma anche come ricerca saporita e curiosa della trovata, del motto geniale, del coup de théâtre spiazzante, senza timore di esplorare tutti i territori della comicità, dalla battuta pre-cabarettista al coinvolgimento diretto del pubblico (per rianimare i personaggi svenuti, in mancanza di sali, si fanno nasare le scarpe, anche di uno spettatore, poi ripetutamente citato), dal calembour metalinguistico ("Se lo voglio sposare? Of course! De corsa!!) all'anacronismo.

Da quando all'inizio la troupe invade la sala dal fondo della platea, proprio come riempivano le piazze i carrozzoni della commedia dell'arte, fino alla conclusione, segnata dall'escamotage (volutamente forzato: "è una commedia, insomma") che ci regala il lieto fine, è tutto un susseguirsi di sketch, malintesi, ammiccamenti, balletti, canzoni (accompagnati dal vivo dal bravo Pierdomenico Simone, anche rumorista) per il piacere del pubblico.

Al centro del plot la vivace servetta Ricciolina, che non vede l'ora di sposarsi con Arlecchino ma deve aspettare le nozze della padrona, che però non riesce a scordare l'amato Leandro, rapito dai turchi su una nave galera. Quando tornerà, sarà costretto all'incognito, e travestito da Capitan Buttafuoco, testerà la fedeltà dell'amata Isabella proponendosi lui stesso come marito. Ma due equivoci fanno sospettare Arlecchino che Buttafuoco abbia sedotto anche Ricciolina, e il suo furore fa precipitare la situazione… ed eccoci giunti all'escamotage di cui sopra.

Un plauso, meritatissimo, a tutto il cast. A partire dalla deliziosa Sara Allevi, una scatenata e maliziosa Ricciolina, perfetta specie nei duetti con Zoppello, che ricrea e rinfresca la maschera di Arlecchino facendone un'irresistibile forza della natura, fino alla coppia di "paroni" Michele Mori/Leandro-Buttafuco (molto versatile nell'alternare il registro più serio a quello da carattere) e Anna De Franceschi/Isabella, fragile nel fronteggiare gli affanni d'amore e forte nel placare gli ardori di Ricciolina e i finti assalti del finto Capitano.

Vi consigliamo di non perdere questa perla scenica che esalta tutte le delizie del gioco del teatro, e di portarci il pubblico di domani, fin dalla più tenera età. E' lo spettacolo perfetto per scoprire la vera essenza del teatro, a cui non servono grossi investimenti o diavolerie sceniche per scaldare il cuore e riempirci di esilarante entusiasmo, basta il talento di un manipolo di indiavolati professionisti, due tavole e un pubblico complice pronto a lasciarsi incantare e coinvolgere.

E la magia si compie.

Franco Travaglio

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