Il Signor G.  e la straziante attualità del Teatro Canzone

14.11.2023

Ma da quanto tempo è attuale Giorgio Gaber? Per quanto tempo lo sarà? Per quanto ancora la sua ispirazione vibrerà in assonanza con la nostra sensibilità ci fornirà nuove chiavi di lettura per capire il presente? L'attualità sociale, politico, esistenziale ci scavalca, sbaraglia le nostre convinzioni e ci toglie il terreno da sotto i piedi, ma quando torniamo al signor G scopriamo che aveva già tutto previsto, assimilato e compreso. Lui già ironizzava su qualcosa di altro da sé, parlava di noi, vedeva la nostra surreale realtà e ne rideva non solo l'avesse prevista nel dettaglio ma l'avesse già vissuta e superata con una risata. La sua risata, che non lascia mai appagati e auto-assolti ma mette sempre in discussione, ci obbliga a riflettere e fare i conti con le nostre meschinità, l'ipocrisia, il disimpegno, la voglia di cambiare tutto per far sì che rimanga tutto uguale e la realtà ci restituisca quel pezzetto di privilegio che è il vero prezzo del conformismo. 


Consapevole della sua forza quasi auto-reggente, l'Accademia dei Folli si limita a mettere in scena Gaber, quasi imitandolo, consapevole che non sono necessarie riletture, riarredamenti, riallestimenti, riarrangiamenti ma bisogna invece restituire quelle pause, quei tic, quei fiati, quegli ammiccamenti per ricreare la magia del Teatro-Canzone di Sandro Luporini e Giorgio Gaber. Senza curare nemmeno troppo la struttura (un brano catartico come Qualcuno era comunista forse avrebbe funzionato meglio come gran finale) ma facendosi guidare dal flusso di monologhi e canzoni privilegiando i brani e le tematiche più attuali. Protagonista assoluto il regista Carlo Roncaglia, che recita e canta da solo, con un unico "cambio scena" (il set, molto essenziale, è di Matteo Capobianco, i costumi di Carola Fenocchio, le luci di Mattia Tauriello): i monologhi sono rivolti al pubblico di fronte a un tulle dietro al quale si reca per cantare accompagnato dalla band dal vivo Andrea Cauduro (chitarre), Enrico De Lotto (basso), Matteo Pagliardi (batteria).  Qui sta l'unica vera innovazione: le partiture hanno un sapore molto più rock dell'originale, a volte con venature blues, con un effetto che sottolinea l'impeto e la rabbia della denuncia sociale e politica dell'assunto gaberiano.

Scrive la compagnia: "Gaber si affacciava sul ciglio di un baratro. Oggi ci troviamo in quel baratro e siamo in caduta libera. E allora ci siamo davvero abbandonati anche noi in questa caduta libera, con tutta l'incoscienza a disposizione." Una caduta in cui l'intelligenza di Gaber e Luporini ci fornisce un appiglio e gli strumenti per fermarci a riflettere e tentare la risalita. 

Franco Travaglio



MuTeVoLi © Tutti i diritti riservati 2023
Creato con Webnode Cookies
Crea il tuo sito web gratis!