Cavallaro e la folle Italia di Psycho
di Sonia Bisceglia
Nell'autobiografia di Marco Cavallaro presente sul web l'attore, autore e regista teatrale rivela: "Nasco in Sicilia nell'anno del signore 1976. A cinque anni minacciai i miei genitori di piangere per otto mesi di fila se non mi avessero portato a teatro. Mi portarono e mi lasciarono lì. Da quel momento cominciai a dare spettacolo ovunque mi trovassi: casa, scuola, strada, animali, nomi, città, piante e cose."
Non stupisce quindi che per il pubblico del Gioiello di Torino gli show dell'artista siano ormai un appuntamento fisso della stagione, atteso e prenotato con anticipo: ormai si va sul sicuro, si sa che in qualunque modo le risate sono garantite, qualunque idea comica si inventi, qualunque ambientazione decida di dare alle sue commedie, con qualunque compagno di scena abbia scelto di esibirsi. Quest'anno però abbiamo potuto goderci il suo talento poliedrico in versione on-man- show.
"Psycho", lo spettacolo di stand-up comedy andato in scena in prima nazionale lo scorso 1 Aprile nella culla della comicità sotto la Mole, vede infatti Cavallaro alle prese con un monologo, dove al posto degli equivoci, le situazioni esilaranti, i colpi di scena spesso surreali tipici delle sue performance "in compagnia", c'è invece un ritratto al vetriolo della follia che sembra dominare nell'Italia di oggi.
Il titolo "Psycho" è riferito proprio al disagio collettivo e le "cringerie" che caratterizzano la società contemporanea. Cavallaro esplora con ironia e acutezza le nevrosi quotidiane, usando questa volta gli stessi spettatori come spalla. Impossibile non riconoscersi nelle situazioni descritte, dalle intolleranze alimentari, alle abitudini digitali, tra umorismo e auto-ironia, invettiva e sfottò.
Uno dei momenti più incisivi è stata la satira politica, in cui Cavallaro passa in rassegna figure come Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Matteo Renzi, Piero Fassino, Donald Trump, Benjamin Netanyahu e Vladimir Putin, evidenziando con sarcasmo le contraddizioni e gli episodi controversi legati a ciascuno. Attraverso immagini, titoli di giornali, foto e video, ha offerto uno sguardo critico e divertente sull'attualità politica, sottolineando come, in fondo, "ci siamo scelti e ci meritiamo" certi leader.
Sin dall'inizio, Cavallaro riesce a stabilire un contatto diretto con gli spettatori e lo fa scendendo in platea, dove trascorre gran parte dello spettacolo. Questo approccio conferma proprio il rapporto di fiducia e apprezzamento reciproco costruito con il pubblico torinese nel corso di vent'anni di carriera. Un legame che ha voluto celebrare ricordando, attraverso una foto, il compianto Gian Mesturino, storico direttore dei teatri Gioiello, Alfieri ed Erba, recentemente scomparso. Cavallaro ha raccontato come, grazie alla perseveranza nel contattarlo telefonicamente al limite dello stalkeraggio, ottenne l'opportunità di esibirsi per la prima volta a Torino, dando inizio alla fruttuosa collaborazione con la scena teatrale sabauda.
La performance, peculiare per la durata (oltre due ore, mentre i cabarettisti non superano quasi mai i 90 minuti) e per la collocazione settimanale (in pochi ormai possono permettersi il lusso di riempire un teatro fuori dalla confort-zone del weekend), è stata un susseguirsi di risate e riflessioni, segnando un'evoluzione nel percorso artistico di Cavallaro. Se nelle sue precedenti commedie "Come fosse amore", "Amore sono un po' incinta" e "Se ti sposo mi rovino", l'attenzione era focalizzata principalmente sulle dinamiche relazionali e sentimentali, in questo nuovo spettacolo l'artista amplia lo sguardo, abbracciando tematiche sociali e politiche con una vena satirica più marcata.
Insomma, da solo o in compagnia, Marco Cavallaro non manca mai l'appuntamento alla risata, e non finiremo mai di ringraziare Gian Mesturino, oltre che per la sua imponente attività teatrale, anche per aver avvicinato, volente o nolente, il talento del comico siciliano al cuore del pubblico torinese.