Clitemnestra, alle radici dell’odio

03.12.2023

Sipari che calano come colpi di lama, il palcoscenico del Carignano che diventa un mattatoio tra il degrado di un bagno pubblico e una squallida sala da pranzo/camera da letto. Graffiti, neon, termosifoni a vista, luci sporche e rumori sinistri come nei resti distopici di una civiltà post-atomica: un non-luogo acronico che rende universale la tragedia.

Non aspettiamoci nulla di catartico, consolatorio o edificante nella Clitemnestra adattata e diretta da Roberto Andò per la stagione dello Stabile di Torino: il crudo dramma dell'inganno, che diventa vendetta e poi odio atavico ci ferisce in pieno viso e accusa tutti noi con la sua spietata attualità.

In principio era un romanzo, La casa dei nomi di Colm Tóibín. L'autore irlandese ebbe l'ispirazione intervistando i due superstiti del massacro di Kingsmill: otto protestanti trucidati da un commando dell'IRA. Non un episodio isolato ma l'ennesimo grano di un rosario infinito e inevitabile di ripicche, vendette, rappresaglie. E' la stessa catena d'odio dietro agli eccidi di Gaza, alle mattanze ucraine, e prima ancora ai lutti jugoslavi, alle faide africane, e via a ritroso fino all'alba del mondo.

Come non ritrovare la radice assoluta del male nel mito greco, matrice culturale che esplicita le pulsioni umane vivisezionandole nell'espressione più pura e ancestrale dell'uomo, il teatro.

Nasce così questa rivisitazione e rivificazione, amplificata e universalizzata, del mito di Clitemnestra. Moglie di Agamennone, la vediamo subire inerme l'inganno del marito che promette alla figlia di il matrimonio con Achille ma poi la fa uccidere come vittima sacrificale agli dei per placare le tempeste che per impediscono alla flotta spartana di partire per Troia.

Lo strazio della madre si trasforma in odio implacabile verso il marito assassino, e qui il sentimento diventa talmente palpabile, vero e giustificato che pervade la platea conquistando ogni spettatore, che non aspetta altro di vedere il coltello fare giustizia del torto indicibile subito dalla donna.

Si potrebbe pensare che una tale efferatezza appartenga per forza al mito, a un passato brutale, che lo condividiamo perché in fondo non ci riguarda. Ma le cronache di oggi sono piene di bambini sgozzati, civili sacrificati come "danni collaterali", efferate operazioni di guerra giustificate con il risibile motivo della "legittima difesa", occupazioni decennali avallate dalle grandi potenze e quindi giustificate come normale amministrazione, massacri mascherati da "operazioni di pace" e "lotta al terrorismo", che producono altro odio e più terroristi che mai.

E' per questo che non ci placa, non ci soddisfa la catarsi dell'omicidio a sangue freddo di Agamennone da parte della moglie con la complicità del nuovo amante Egisto, con un'interessante riflessione sull'eros che si fa complicità e viceversa, quasi che anche il possesso fisico tra amanti non sia che l'anticamera di altra violenza. Il sangue chiama solo altro sangue: la sorella di Ifigenia, Elettra, sconvolta dalla fine del padre, auspicherà a sua volta la vendetta sulla madre e l'amante, e la catena di morte non avrà mai fine, in una abissale spirale di distruzione.

Robertò Andò adattò il testo quando impazzava il terrorismo islamico dell'ISIS e l'iconografia dello spettacolo ricorda infatti le agghiaccianti esecuzioni in video, le decapitazioni, le rivendicazioni.

Ma le scene iniziale e finale ricordano le scioccanti sagome rimaste suoi muri di Hiroshima e Nagasaki che immortalavano i corpi delle vittime dei bombardamenti atomici USA e fissavano in eterno le loro attività quotidiane, a sottolineare che la vita, l'umanità, la civiltà finivano inesorabilmente in quell'istante. Andò ci mostra le ombre prima di Clitemnestra, poi di Elettra e di tutti i personaggi, come potrebbero essere se fossero ancora svuotati dell'odio che li rende bestie, fissati nell'attimo quell'innocenza viene da loro perduta. Ci sentiamo tutti impotenti e allo stesso tempo colpevoli. Proprio come Achille, che vorrebbe salvare l'innocenza di Ifigenia ma non ha il coraggio e la forza di farsi valere contro una folla assetata di sangue.

Il regista rinnova il rito e la forza evocatrice del teatro coadiuvato da una compagnia notevole per forza, verità, concentrazione, affiatamento. Al centro risuona l'urlo magnetico della Clitemnestra di Isabella Ragonese: prima intensa e viscerale, poi fredda e spietata, rende il personaggio paradigmatico e monumentale senza dismettere la sincerità potente, la verità disarmante. Arianna Becheroni (Ifigenia) affronta con patos e credibilità un ruolo molto complesso, e strappa letteralmente il cuore nella supplica al padre, che ha la voce calda e il volto intenso di Ivan Alovisio, e riesce a rendere umano e talvolta persino empatico un personaggio disumano. Citiamo anche la rabbiosa e ossessiva Elettra di Anita Serafini, allegoria dell'innocenza costretta a farsi follia cieca, e Denis Fasolo, un Achille ex-eroe soverchiato dai sensi di colpa.

Uno spettacolo importante, che spalanca il sipario e gli occhi sugli orrori più connaturati all'animo umano, per capire le radici dell'odio con cui l'animo umano prima o poi deve fare i conti.

Conoscerlo, toccare con mano la sua essenza brutale può essere il primo passo per sconfiggerlo.

Franco Travaglio

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