Cose che so essere vere

30.10.2024

di Sonia Bisceglia

Diverte e nello stesso tempo commuove "Cose che so essere vere", che potremmo sottotitolare "il dramma toccante di una famiglia normale".
Declinando la tragedia dietro alla quotidianità con l'intensità di un Eduardo, Valerio Binasco accompagna lo spettatore di pari passo nella regia come nella interpretazione, stralunata e straniante del padre di famiglia Bob. Se Luca Cupiello si rifugia nel suo presepe, Bob è convinto di viverci ma ci pensano i familiari a scardinare il conformismo del suo sogno borghese, e dovrà imparare ad amarli nonostante abbiano tutti scelto un (chissà se lieto) fine diverso da quello che lui aveva sognato per loro.

Al suo fianco una Giuliana de Sio che dipinge una Fran, sua moglie, dall'umanità vibrante, vero punto di riferimento della famiglia, a cui basta guardare i figli negli occhi per sapere di loro più di quanto essi stessi sappiano di sé, e di cui si scopre un segreto che a sua volta la allontana dai cliché nei quali il marito l'aveva incasellata.

L'atto unico di Andrew Bovell diventa una giostra impazzita nella realistica scenografia, unica ma sempre in movimento, di Alessio Rosati, in cui la vita dei personaggi scorre girando, quasi avvitandosi, su se stessa.

Si parte dalla fine: un uomo (il padre), seduto al buio in piena notte che non sa se rispondere al telefono; il dilemma, la suspence, la risposta e poi il buio ci catapultano emotivamente nella dimensione e nel sapore del passato che non torna e non può più essere cambiato.

E' proprio la Vita l'elemento imprevedibile e inafferrabile, che finirà per crollare inesorabile addosso a tutti i personaggi, cambiando i punti elenco della lista delle cose che si sapevano vere, le scale di valori, ma soprattutto le persone.

La vita di un padre sempre presente, capace di tenere legata al suo fianco la madre dei suoi figli per 30 anni senza mai darle un valido motivo per andarsene e al contempo la vita di una madre iper-attenta, iper-amorevole, iper-attiva, iper-generosa ma equa: quel che dà ad un figlio lo dà anche a tutti gli altri, anche se sotto altre forme. Una donna che sacrifica facilmente la propria felicità per le sue creature, per un bene più grande. Perché la felicità e l'amore sono valori che è disposta a mettere da parte di fronte all'importanza di tirare avanti e crescere i figli. E in trent'anni succede che ci si disinnamora, finisci con l'accontentarti e quella frustrazione la trasferisci sotto altre forme sul partner e sui figli, che assorbono  attenzioni ed energie. Ecco che le svolte di questi ultimi, ognuna dal suo particolare punto di vista e le più o meno gravi problematiche, diventano per tutti  "sorprese… riuscite benissimo".

Una serie di piccoli grandi colpi di scena esistenziali che mettono a dura prova i genitori che tamponano, si fanno in quattro pur di aiutarli, si arrabbiano, ma continuano a ripetersi fra loro una grande verità: "ce lo siamo sempre detto dei figli, si prende quello che viene".

Punto di vista principale è quello di Rosie (è lei a stilare la lista del titolo), la figlia più piccola che declina la vita che ti immagini sembra non voler cominciare mai, quella dell'adolescente che ha paura di crescere, e vuole mantenere la fissità propria di quei luoghi comodi, dati per scontato come la propria famiglia, la casa d'origine, rifugi in cui poter tornare dopo aver fatto qualche maldestra prova tecnica di crescita. La lista delle cose vere è breve quando si è giovani.

E' proprio quella casa il luogo dei drammi: una cucina, un tavolo, un giardino che nella sola descrizione diventa luogo metaforico e specchio, fatto di alberi e piante tenute con cura che girano insieme alla scena e cambiano posizione man mano che la drammaturgia procede riempiendo quegli spazi resi vuoti dagli allontanamenti fisici e affettivi. Gli anni passano, i figli si allontanano e le piante prendono possesso del tavolo che non viene più usato … e nel giardino insieme all'accettazione e alla curiosità si fa strada anche il desiderio di buttare giù tutti quegli alberi e quelle rose, e lasciare che le erbacce crescano una sull'altra alla rinfusa, "un giardino pieno di caos, così… per vedere cosa succede" opposto a quello che la cura maniacale del padre-giardiniere vorrebbe sempre uguale e ordinato da prevedibili leggi piccolo borghesi. Ma si arrenderà a una vita in cui "niente resta sempre uguale e come le stagioni cambiano la vita continua".

Nel finale il pubblico ammutolisce, si commuove e irrompe in un fragoroso ma mesto applauso, diverso dal solito. Perché in quel giardino/specchio bene o male si riflette la vita di tutti, con le sue "sorprese… riuscite benissimo".

Sonia Bisceglia

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