BOLOGNA – Un
Cyrano contaminato con il Pinocchio di Collodi, quello raccontato dallo sguardo
di Arturo Cirillo e in scena al Teatro Duse di Bologna. Una rivisitazione
visionaria dell'eroe infelice di Bergerac – protagonista del capolavoro di fine
Ottocento scritto da Edmond Rostand – che porta in scena la storia di un amore
irrealizzato e, proprio per questo, capace di eternarsi e di conservare la sua
forza idilliaca e struggente.
Per
approcciarmi a questo spettacolo avevo riletto con piacere un bel saggio di
Enrico Fiore sul «Cyrano» di Rostand, che costituisce il trasferimento nella
finzione teatrale del personaggio storico di Cyrano Savinien de Bergerac: un
intellettuale isolato in perenne tensione con il potere, forse saccheggiato
addirittura da Molière e nella cui vicenda pubblica il naso spropositato si
pone in termini di emblema e metafora di una «diversità» insieme morale e (nel
senso alto dell'aggettivo) politica.
Parliamo, in
definitiva, di un problema assai attuale e dilaniante. La vera utopia di
Cyrano, infatti, è quella della letteratura: non a caso egli definisce «eroe da
romanzo» la creatura «mostruosa» che nascerà dalla fusione della sua anima –
anima di poeta, che vive unicamente nella «trasgressione» del verso – con il
bel corpo di Cristiano, l'innamorato di Rossana al quale lui presta la capacità
del discorso alato e fantastico.
Insomma,
siamo di fronte al dramma della condizione schizoide in cui si dibatte tanta
parte dell'arte (e in specie, appunto, della letteratura) moderna: il dramma
della scissione fra il segno, cioè il codice, e la realtà. Ciò che si traduce,
quindi, nell'impossibilità, per l'intellettuale, di modificare quella realtà
unicamente con lo strumento della comunicazione.
Contro i
suoi vecchi nemici (la Menzogna, il Compromesso, il Pregiudizio, la Viltà, la
Stupidità) Cyrano, in conclusione, non ha che l'arma delle parole; e non può,
di conseguenza, che abbandonarsi a un gioco disperato: proprio «l'insensato
gioco di scrivere», per dirla ancora una volta con Blanchot.
Ma Cirillo
non si sogna nemmeno di perder tempo ad occuparsi di simili quisquilie.
Dichiarando d'aver preso le mosse dal musical di Modugno e Pazzaglia che
(correva l'anno di grazia 1979!) lo folgorò al Politeama di Napoli quand'era
bambino, ha messo su uno spettacolo che ha come unico e altrettanto dichiarato
scopo il suo consumo svagato e immemore. E per raggiungerlo, quello scopo, ha
riversato nel calderone dell'allestimento tutto e il contrario di tutto: oltre
al musical, la Commedia dell'Arte (dalle maschere di quest'ultima discende il
naso posticcio che indossa), la rivista, il varietà, l'avanspettacolo, il
cabaret, il teatro dei burattini, quello delle ombre e così via affastellando.
Sicché potrebbe a buon diritto, Cirillo, parafrasare il cavalier Marino che
cita: «È del teatrante il fin l'intrattenere: (…) se non sa intrattener vada a
la striglia».
Cyrano è
poeta e spadaccino, uomo astuto e dignitoso, appassionato ma destinato
all'infelicità. Il suo naso deforme gli impedisce di comunicare con gli altri
come vorrebbe, perché catalizza l'attenzione e attira lo scherno di chiunque lo
circondi. «Questo mio maledetto
naso che mi precede di un quarto d'ora ovunque mi vieta fin l'amore di una
brutta»: è però l'amore la fonte di maggiore struggimento per Cyrano,
che ama Rossana sebbene lei ami un altro, Cristiano, di bell'aspetto ma
grossolano nelle parole e nei pensieri. E invece Cyrano è un fine dicitore e,
piuttosto che crogiolarsi nell'invidia per il rivale, si fa cupido e aiuta
Cristiano a conquistare il cuore di Rossana con la forza della poesia. Così,
forse, Cyrano può illudersi di vivere dentro il rapporto tra i due giovani
amanti, di conquistarsi a suo modo un posto nel cuore di quella donna che non
lo ricambia.
Lo
specchiarsi dei riferimenti tra Cyrano e Pinocchio non termina con il naso che
fa da collante tra i due underdog: Rossana, la cugina amata da Cyrano (un'ottima
Valentina Picello), è la Fata Turchina, la sua cameriera e dama è la Lumachina,
il pasticcere è il Grillo Parlante, nel finale Cyrano si trasforma in Geppetto,
entrambi i testi sono attraversati dalla bugia come cardine portante di queste
due esistenze di sconfitti, e ogni tanto appare in sottofondo la sigla,
riarrangiata e ammodernata, della sigla della serie (all'epoca si chiamava
sceneggiato) de "Le avventure di Pinocchio" di Comencini con Nino Manfredi.
Con un gioco
di prestigio tra forma, scintillante e di paillettes sbrilluccicose, e
sostanza, tenera e commovente, Arturo Cirillo si fa mago e prestigiatore
facendoci entrare dentro il suo castello delle meraviglie, wunderkammer e
tunnel degli specchi dove niente è come sembra e dove tutto può assumere altre
parvenze cangianti, altri significati talmente reconditi da apparire palesi,
luminosi. Il suo è un avanspettacolo tutto ruotato su una piattaforma che fa sembrare
i protagonisti omini del carillon della vita di marzapane a girare su se stessi
nell'infinita girandola del possibile del reale, del verosimile dell'esistenza.
La musica
(Federico Odling), protagonista per le due ore di spettacolo, anima scene da varietà
che fondono giochi di luci (Paolo Manti), ritmo narrativo incalzante e costumi
(Gianluca Falaschi) sgargianti, fiabeschi. E in effetti i costumi e il trucco
degli attori, in questo Cyrano visionario e a tratti psichedelico, rimandano
più al Pinocchio di Collodi che alle atmosfere del capolavoro di Rostand: un
Cyrano/Pinocchio che cerca la sua redenzione in una "Rossana turchina" che,
però, non ha il potere di guarirlo, ma che gli insegna a scegliersi il proprio
destino e trovare, a suo modo, salvezza. Uno spettacolo fiabesco solo in
apparenza, dunque, che rivela un tessuto emotivo e psicologico radicato nella
realtà con tutta la sua durezza: Cyrano è un po' burattino nelle mani di un
pregiudizio vecchio ma imperituro, ma è anche un inquieto, appassionato poeta
che grazie alle parole si connette col mondo, raccontando di sé ciò che va
oltre la sua deformità. E se è originale, a teatro, il mix tra il Cyrano e il
Pinocchio, il naso era lì da sempre a suggerire l'incastro perché "l'essenziale
è invisibile agli occhi".