CYRANO DE BERGERAC

01.05.2024

di Alessandro Caria

BOLOGNA – Un Cyrano contaminato con il Pinocchio di Collodi, quello raccontato dallo sguardo di Arturo Cirillo e in scena al Teatro Duse di Bologna. Una rivisitazione visionaria dell'eroe infelice di Bergerac – protagonista del capolavoro di fine Ottocento scritto da Edmond Rostand – che porta in scena la storia di un amore irrealizzato e, proprio per questo, capace di eternarsi e di conservare la sua forza idilliaca e struggente.

Per approcciarmi a questo spettacolo avevo riletto con piacere un bel saggio di Enrico Fiore sul «Cyrano» di Rostand, che costituisce il trasferimento nella finzione teatrale del personaggio storico di Cyrano Savinien de Bergerac: un intellettuale isolato in perenne tensione con il potere, forse saccheggiato addirittura da Molière e nella cui vicenda pubblica il naso spropositato si pone in termini di emblema e metafora di una «diversità» insieme morale e (nel senso alto dell'aggettivo) politica.

Parliamo, in definitiva, di un problema assai attuale e dilaniante. La vera utopia di Cyrano, infatti, è quella della letteratura: non a caso egli definisce «eroe da romanzo» la creatura «mostruosa» che nascerà dalla fusione della sua anima – anima di poeta, che vive unicamente nella «trasgressione» del verso – con il bel corpo di Cristiano, l'innamorato di Rossana al quale lui presta la capacità del discorso alato e fantastico.

Insomma, siamo di fronte al dramma della condizione schizoide in cui si dibatte tanta parte dell'arte (e in specie, appunto, della letteratura) moderna: il dramma della scissione fra il segno, cioè il codice, e la realtà. Ciò che si traduce, quindi, nell'impossibilità, per l'intellettuale, di modificare quella realtà unicamente con lo strumento della comunicazione.

Contro i suoi vecchi nemici (la Menzogna, il Compromesso, il Pregiudizio, la Viltà, la Stupidità) Cyrano, in conclusione, non ha che l'arma delle parole; e non può, di conseguenza, che abbandonarsi a un gioco disperato: proprio «l'insensato gioco di scrivere», per dirla ancora una volta con Blanchot.

Ma Cirillo non si sogna nemmeno di perder tempo ad occuparsi di simili quisquilie. Dichiarando d'aver preso le mosse dal musical di Modugno e Pazzaglia che (correva l'anno di grazia 1979!) lo folgorò al Politeama di Napoli quand'era bambino, ha messo su uno spettacolo che ha come unico e altrettanto dichiarato scopo il suo consumo svagato e immemore. E per raggiungerlo, quello scopo, ha riversato nel calderone dell'allestimento tutto e il contrario di tutto: oltre al musical, la Commedia dell'Arte (dalle maschere di quest'ultima discende il naso posticcio che indossa), la rivista, il varietà, l'avanspettacolo, il cabaret, il teatro dei burattini, quello delle ombre e così via affastellando. Sicché potrebbe a buon diritto, Cirillo, parafrasare il cavalier Marino che cita: «È del teatrante il fin l'intrattenere: (…) se non sa intrattener vada a la striglia».

Cyrano è poeta e spadaccino, uomo astuto e dignitoso, appassionato ma destinato all'infelicità. Il suo naso deforme gli impedisce di comunicare con gli altri come vorrebbe, perché catalizza l'attenzione e attira lo scherno di chiunque lo circondi. «Questo mio maledetto naso che mi precede di un quarto d'ora ovunque mi vieta fin l'amore di una brutta»: è però l'amore la fonte di maggiore struggimento per Cyrano, che ama Rossana sebbene lei ami un altro, Cristiano, di bell'aspetto ma grossolano nelle parole e nei pensieri. E invece Cyrano è un fine dicitore e, piuttosto che crogiolarsi nell'invidia per il rivale, si fa cupido e aiuta Cristiano a conquistare il cuore di Rossana con la forza della poesia. Così, forse, Cyrano può illudersi di vivere dentro il rapporto tra i due giovani amanti, di conquistarsi a suo modo un posto nel cuore di quella donna che non lo ricambia.

Lo specchiarsi dei riferimenti tra Cyrano e Pinocchio non termina con il naso che fa da collante tra i due underdog: Rossana, la cugina amata da Cyrano (un'ottima Valentina Picello), è la Fata Turchina, la sua cameriera e dama è la Lumachina, il pasticcere è il Grillo Parlante, nel finale Cyrano si trasforma in Geppetto, entrambi i testi sono attraversati dalla bugia come cardine portante di queste due esistenze di sconfitti, e ogni tanto appare in sottofondo la sigla, riarrangiata e ammodernata, della sigla della serie (all'epoca si chiamava sceneggiato) de "Le avventure di Pinocchio" di Comencini con Nino Manfredi.

Con un gioco di prestigio tra forma, scintillante e di paillettes sbrilluccicose, e sostanza, tenera e commovente, Arturo Cirillo si fa mago e prestigiatore facendoci entrare dentro il suo castello delle meraviglie, wunderkammer e tunnel degli specchi dove niente è come sembra e dove tutto può assumere altre parvenze cangianti, altri significati talmente reconditi da apparire palesi, luminosi. Il suo è un avanspettacolo tutto ruotato su una piattaforma che fa sembrare i protagonisti omini del carillon della vita di marzapane a girare su se stessi nell'infinita girandola del possibile del reale, del verosimile dell'esistenza.

La musica (Federico Odling), protagonista per le due ore di spettacolo, anima scene da varietà che fondono giochi di luci (Paolo Manti), ritmo narrativo incalzante e costumi (Gianluca Falaschi) sgargianti, fiabeschi. E in effetti i costumi e il trucco degli attori, in questo Cyrano visionario e a tratti psichedelico, rimandano più al Pinocchio di Collodi che alle atmosfere del capolavoro di Rostand: un Cyrano/Pinocchio che cerca la sua redenzione in una "Rossana turchina" che, però, non ha il potere di guarirlo, ma che gli insegna a scegliersi il proprio destino e trovare, a suo modo, salvezza. Uno spettacolo fiabesco solo in apparenza, dunque, che rivela un tessuto emotivo e psicologico radicato nella realtà con tutta la sua durezza: Cyrano è un po' burattino nelle mani di un pregiudizio vecchio ma imperituro, ma è anche un inquieto, appassionato poeta che grazie alle parole si connette col mondo, raccontando di sé ciò che va oltre la sua deformità. E se è originale, a teatro, il mix tra il Cyrano e il Pinocchio, il naso era lì da sempre a suggerire l'incastro perché "l'essenziale è invisibile agli occhi".

Alessandro Caria

MuTeVoLi © Tutti i diritti riservati 2023
Creato con Webnode Cookies
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia