Marionette per amore

07.02.2025

di Franco Travaglio

Si dice che "L'uomo invecchia e muore, il pupo diventa antico e non muore mai". Sembra viverlo sulla sua pelle Nemorino, protagonista dell'Elisir d'amore donizettiano nel nuovo, convincente allestimento firmato dal regista Daniele Menghini, prodotto da due Teatri Regi, quello di Torino, che ha ospitato anche l'anteprima a cui abbiamo assistito, e quello di Parma.

Siamo nel laboratorio di un puparo, colui ovvero che costruisce, anima, cura e ama le marionette, una delle forme di teatro di figura più antica, longeva e amata, specie dal pubblico dei più piccoli.

Come non ricordare la milanese Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli, o la pittoresca tradizione dei pupi siciliani?

Ma all'apertura del sipario capiamo che l'approccio ai simpatici pupazzi animati non è consolatorio, disneyano o infantile: l'effetto dell'apparizione di tante marionette, accatastate nella bottega tra trucioli e arnesi da lavoro, e in attesa di entrare in azione ci riporta a un mondo inquietante, oscuro, quasi da film horror.

Vediamo infatti di fronte ai nostri occhi, con un trucco molto convincente e sorprendente anche per chi è abituato agli investimenti di un teatro lirici, giocattoli in legno prendere vita, grazie a un sapiente uso di luci e maschere. L'apparizione più affascinante è l'ultima, quella che trasforma una damina appena intagliata nella graziosa interprete Enkeleda Kamani, pronta a deliziarci con la sua voce soave e l'ironia con cui si prende beffe dei pretendenti. Ecco infatti emergere dalla massa di personaggi animati il sergente Belcore, che chiede la sua mano, per lo sconforto dello stesso Nemorino. Il personaggio è sì diventato da contadino povero puparo, ma il suo amore per la protagonista rimane. Semmai questa nuova ambientazione lo avvicina all'infatuazione di Pigmalione per la sua statua, e l'impossibilità di amarla passa dalla diversità di censo e ceto sociale a una sorta di appartenza 'fantasy' a due mondi incompatibili. Nemorino, interpretato e cantato con la medesima intensità da Valerio Borgioni, indossa infatti all'inizio dell'opera una modernissima felpa su un paio di jeans e verrà solo successivamente, lentamente vestito e inglobato nel mondo settecentesco del dei pupi. Che maschera indosserà? Quella di Pinocchio. Il creatore diventerà la creatura, a sottolineare che a manovrare i pupi, più che i pupari sono le donne, che ci fanno muovere usando il filo più potente che c'è: l'amore. Momento di grande intensità non solo musicale ci offrirà lo stesso Borgioni con la struggente aria "Una furtiva lagrima".

Come è stato realizzato questo difficile equilibrio tra realtà, finzione, rappresentazione, sogni intriganti e intrighi burleschi? Con un sapiente uso innanzitutto di tutti i mezzi teatrali, abilmente orchestrati dal regista che, come il bravo Fabrizio Maria Carminati ha fatto con l'orchestra e il coro del regio, ha amalgamato i talenti di un team creativo di grande spessore: Davide Signorini (scene), Nika Campisi (costumi), Andrea Dionisi (direzione coreografica) e Gianni Bertoli (luci).

E poi con un geniale alternarsi di vari piani registici e narrativi, che mette in campo varie grandezze, tipologie e tecniche di teatro di figura: accanto a cantanti, coristi (mai così a loro agio e credibili) e ballerini vestiti da pupi, vediamo marionette, pupi e burattini che prendono la scena agli attori "in carne ed ossa. E qui va citata la figura del marionettista (ed esperto di teatro musicale, operetta in particolare) Augusto Grilli, che apre per l'occasione i bauli della sua immensa collezione di marionette di ogni epoca e estrazione geografica (alcune le abbiamo ammirate in una suggestiva mostra al MAO, altre sono visibili nel suo neonato Museo delle Marionette e dei Burattini.

Grilli è anche in scena a muovere i suoi pezzi da collezione e a sottolineare il binomio davvero affascinante tra melodramma e teatro di figura (non a caso si parla di Opera dei Pupi)

Insomma, un delizioso capolavoro di teatro musicale, con un amore che sembra illusione ma non è, un elisir (fornito dal mago suo malgrado Dulcamara, un frizzante Simone Alberghini) che produce effetti strabilianti ma è semplice bordeaux, marionette più vive degli umani e uomini costretti a fare le marionette per conquistare l'amata.

Non resterà infatti al puparo Nemorino che dimenticarsi della realtà e innamorarsi della dolce finzione che tocca tutti, oggi come ieri, il meraviglioso gioco del teatro e dell'amore, quello che non morirà mai.

Franco Travaglio

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