Fra', la superstar del Medioevo

17.01.2024

Di Alessandro Caria

BOLOGNA, gennaio 2024 – Giovanni Scifoni fa centro con il suo monologo che racconta alcuni aspetti della vita di San Francesco. Le repliche andate in scene al Teatro Duse di Bologna sono andate subito sold out e il consenso del pubblico – anche il Cardinale Zuppi ha assistito allo spettacolo – è stato manifestato con molte ovazioni finali.

Diciamoci la verità, l'idea di San Francesco giullare di Dio, ioculator Domini, non è certo nuova. Insomma, raccontare il Santo di Assisi è come scoprire l'acqua calda, ed è quello che confessa con molta ironia Scifoni proprio all'inizio dello spettacolo FRA': e giù ad elencare film, pièces teatrali, monologhi dedicati al Santo Patrono d'Italia. E lo fa con grande naturalezza, quasi a voler giustificare l'idea di scrivere un monologo dedicato alla "superstar del Medioevo". In realtà, assistiamo a uno spettacolo di notevole spessore, caratterizzato dalla grande varietà dei contributi artistici e delle modalità in cui gli stessi vengono cuciti insieme e proposti al pubblico.

Intorno a quali punti ruota lo spettacolo? Francesco era una persona che aveva vissuto sulla sua pelle le tre grandi tentazioni di Gesù nel deserto: trasformare le pietre in pane che sono il denaro e i piaceri, poi gettarsi dal pinnacolo per essere accolto dagli angeli che è la tentazione del potere, e poi possedere tutto il mondo che è il successo. I piaceri, il potere e il successo: Francesco era molto ricco, questo spiega perché fosse così ossessionato dalla povertà, combattendo con forza l'avarizia e la cupidigia. Poi Francesco aveva un enorme potere, i frati facevano tutto quello che lui diceva, mangiavano coi lebbrosi, dormivano per terra. E poi aveva un successo incredibile, era uno degli uomini più famosi del mondo. Avrà avuto problemi di ego. Qualunque artista ha queste tre tentazioni: gli artisti spesso finiscono male per questo motivo e si sono rovinati perché nessuno li ha messi in guardia. Ma Francesco sposa appunto Madonna Povertà, rinuncia a tutto, anche al successo e al potere, nel finale della vita rinuncia anche all'ordine che ha fondato. Nella parte finale della sua vita, quando ha iniziato a vivere l'esperienza del fallimento, i frati gli dicono che è contraddittorio e gli chiedono di scrivere una regola. E lui riporta esattamente il Vangelo delle Beatitudini. «Quella regola se la faccia lui, noi ce ne facciamo un'altra» rispondono. Lui poteva fare due cose: o mandarli via o rinunciare e dire «continuate voi, io mi tolgo di mezzo». E lui – gran colpo di teatro – lo ha fatto. Scifoni si pone questo problema: chi riesce a rinunciare al consenso? Alla propria opera? Al suo grande capolavoro? Nessun santo è morto senza essere a capo dell'ordine da lui creato, ma Francesco sì. Emblematica è la sua frase «Non voglio possedere niente, perché se posseggo qualcosa poi devo avere armi per difenderla». Attenzione, questo non vuol dire che Francesco amava la povertà – quando gli offrivano un pezzo di cinghiale arrosto, lo mangiava eccome! – ma che non amava il possesso. Scifoni porta in evidenza in maniera efficace proprio questo aspetto atualissimo: quello che colpisce tanto oggi è proprio questo discorso della rinuncia, la rinuncia all'ego, all'apparenza, lo scomparire perché siamo una società dell'avere più che dell'essere. Rinunciare all'avere è molto più profondo, vuol dire anche rinunciare alla propria fanbase.

Giovanni Scifoni è capace di dar vita a più personaggi: quindi il monologo diventa dialogo, laddove l'interlocutore può essere Frate Leone oppure il Papa Innocenzo III. E lo fa seguendo la strada dell'ironia, FRA' è sostanzialmente uno spettacolo ironico e giullaresco, visto che parla della risata di Francesco. Era ossessionato dalla risata. I frati che predicavano con lui ridevano anche quando presi a bastonate dalle guardie. Francesco diceva cose come: «Dovete ridere, altrimenti non siete veri cristiani!». Era un personaggio fuori da qualunque schema. Alternare pensiero e risate è un obbligo. Si ride anche di un riso disperato, si ride disperatamente di noi, della nostra pochezza della nostra miseria, di come siamo imperfetti, lontani dalla santità.

Scifoni è bravo nel riuscire a parlare di fede a un pubblico eterogeneo, senza rischiare da un lato di offendere i credenti, dall'altro di annoiare i laici. Come? Semplicemente non si pone il problema. Ad esempio, l'attore romano si diverte a raccontare e a calarsi nei panni di Francesco che quando non sapeva cosa dire si metteva a parlare in francese. Ma non si chiede se questo avrà un effetto comico sul pubblico, semplicemente lo propone e le risate del pubblico arrivano e sono genuine come lo è il suo racconto.

Due elementi fungono da "stacco": la musica e il disegno. Infatti, per tutta la durata dello spettacolo, Giovanni Scifoni viene accompagnato da un trio di strumenti antichi, suonati da altrettanti bravissimi musicisti, che rispondono ai nomi di Luciano di Giandomenico (autore delle musiche originali), Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli. I tre artisti eseguono le famose laudi medievali, a volte accompagnando Giovanni Scifoni che canta e balla come un giullare, oppure – e questa è l'altra trovata – durante l'esecuzione dei diversi brani, il protagonista si gira spalle al pubblico e inizia a disegnare su un enorme foglio di carta: i tratti prendono forma a poco a poco durante lo spettacolo, si concretizzano, fino a rendere l'immagine di San Francesco. Lo spettacolo, quindi, non è assolutamente banale, ma risulta del tutto originale e fruibile per lo spettatore.
Si conclude proprio con la narrazione della più osannata idea del Santo, quella di dar vita al Presepio: una delle grandi performance di Francesco, un grande artista che inventa questa sacra rappresentazione a Natale. Presepe significa mangiatoia. Lui ha detto: mettiamo la mangiatoia vuota, senza bambino e mettiamo l'asino e il bue. Nessuno l'aveva mai fatto nella storia. Questo genera un cortocircuito nel popolo di Greccio, sono talmente emozionati che, durante la messa di Natale quando lui canta il Vangelo e lo mette sulla mangiatoia, succede qualcosa di straordinario: qualcuno vede il bambino. Il grande potere di Francesco è fare immaginare cose che non c'erano.

Alessandro Caria

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