Bosso, Martelli e il mito di Fred
Cinque anni di successo bruciante, poi lo schianto e il silenzio. Si potrebbe sintetizzare così la parabola di Ferdinando Buscaglione in arte Fred, figlio di un imbianchino e di una portinaia/insegnante di piano e nipote di una canzonettista, che entrò definitivamente nel mito per non uscirne più quella sera in un cui un camion carico di porfido si scontrò con la sua Thunderbird lilla a Roma, quartiere Parioli.
Nel flash-back di quella tragica serata è incastonato l'appassionato omaggio che Mathias Martelli, volto emergente della narrazione teatrale, gli ha dedicato, sia nel romanzo Fred che nell'omonimo applaudito recital-concerto visto al Carignano di Torino nella stagione dello Stabile.
Martelli non rinuncia alle citazioni del grammelot alla Fo che lo hanno fatto apprezzare dal pubblico (la fatica che l'ha reso noto è stata la riedizione addirittura di Mistero Buffo, diretta dal compianto Eugenio Allegri): si produce anche in uno spassoso "zapping" radiofonico poliglotta e in molte altre gag che ne esaltano la fisicità da giullare moderno e la parlantina verastile e coinvolgente.
Al centro della narrazione il destino di Buscaglione, James Dean italiano suo malgrado, che sembrava destinato a un futuro da travet, ed era un ragazzo timido e impacciato prima di incontrare il jazz. Complice l'apprezzamento del grande Gino Latilla, che lo scopre e promette alla Fonit Cetra di comprare tutte le copie del disco qualora l'avessero pubblicato, diventa in breve tempo uno dei più grandi cantanti italiani, contagiando di swing e testi ironicamente trasgressivi (opera del sodale Leo Chiosso, l'altra faccia della medaglia dello showman) un'Italia ancora bacchettona e musicalmente rimasta alle romanze patetiche e zuccherose di Nilla Pizzi.
Lo show procede drammaturgicamente a strattoni, tra picchi di istrionismo con il protagonista che gigioneggia, coinvolge il pubblico, si muove tra commedia dell'arte e cabaret; e qualche caduta di eccessivo didascalismo, tra datazioni documentaristiche e giustapposizioni talvolta un po' forzate.
Ma a rendere lo show completo e di grande impatto è la parte musicale. Non tanto il pur volenteroso Walter Ricci, che cantando le hit di Fred rimane un po' schiacciato dal difficile confronto col carisma del mito, quanto la band dal vivo, composta da Alessandro Gwis (Pianoforte), Mattia Basilico (Sassofono), Matteo Rossi (Contrabbasso), Luca Guarino (Batteria). E in un angolino, umile e al servizio dello spettacolo c'è la tromba di un 'certo' Fabrizio Bosso, che gioca di diminuzione, ci fa assaporare i sound perduti (dal grande pubblico) delle band swing e quando si lascia andare ci delizia con soli da pelle d'oca. La sua tecnica incredibile unita a un'umiltà e una simpatia rare ma sinonimo di vera grandezza ci fanno gridare al miracolo in un mercato in cui il teatro musicale "leggero" raramente si può avvalere della musica dal vivo. Memorabile lo sketch in cui dialoga con Martelli, facendo letteralmente "parlare" la tromba nel ricreare le lunghe chiacchierate tra i due coautori dirimpettai Fred e Chiosso.
Alla regia di Arturo Brachetti sono affidate le grandi sorprese e gli effetti speciali dello show, che non sveliamo perché il consiglio è di correre a godere di questo Fred, della simpatia contagiosa del protagonista, degli incredibili musicisti, e delle vicende appassionanti di un pezzo di storia dello spettacolo italiano, che ancora ci travolgono grazie alle sue canzoni immortali. Alla fine addirittura l'ingessato pubblico dello Stabile, abituato a ben altra atmosfera, si lascia andare al ritmo e balla su evergreen come "Fred dal whisky facile", "Buonasera Signorina", "Piccola così", "Che bambola", "Il dritto di Chicago"… Una vittoria postuma non da poco per tal Ferdinando Buscaglione, in arte (e che arte!) Fred.