Iliade, il gioco degli dei

17.01.2024

di Alessandro Caria

BOLOGNA, gennaio 2024 – «Chi fu la causa della strage? Gli uomini o gli dèi? Che differenza c'è?». È questa la domanda che conclude ILIADE. IL GIOCO DEGLI DÈI. Un interrogativo che nasce da uno spettacolo che, con la giusta misura di dramma ed ironia, riesce a far riflettere anche gli spettatori contemporanei, dove non si capisce quanto essi siano specchio dei personaggi in palcoscenico e viceversa. «Gli umani sono stati creati ad immagine e somiglianza degli dèi. O forse è il contrario?». Ad esaltare questo aspetto, nella replica a cui abbiamo assistito, è stato curioso e divertente sentire chiamare «papà» il Zeus interpretato da Alessio Boni sia dai personaggi dell'Olimpo sul palco che dai suoi figlioletti seduti in platea, che reclamavano attenzione dal genitore.

Cerchiamo di capire. In che senso il poema di Omero sarebbe un gioco, e degli dèi per giunta? A memoria non si direbbe. Tutti la ricordiamo come l'opera della guerra, dell'ira funesta d'Achille, dalla quale ironia, leggerezza e giocosità sembrerebbero quanto mai distanti. Eppure, a ben leggere, così non è. Omero, o chi per lui sotto tale nome, badò ad inserire elementi comici nell'Iliade. In pochi, nel tempo, hanno saputo coglierli mettendoli in evidenza. L'adattamento teatrale, abilmente curato da Francesco Niccolini che ha lavorato sulla drammaturgia insieme a Aldorasi, Boni e Prayer, è partito proprio da questi impostando l'intera drammaturgia dello spettacolo. Ed ecco gli dèi dell'Olimpo, esseri eterni, soggetti allo scorrere del tempo. Appaiono stanchi, fuori forma, annoiati, dalla memoria un po' labile – Zeus soprattutto. Si ritrovano su una spiaggia e, non sapendo bene cosa fare, ricordano il periodo d'oro della guerra di Troia, da loro scatenata per capriccio, perché con gli esseri umani ci giocano come fossero marionette. Perché non rievocarla allora? Sennò che altro fare? E così, eccoli calarsi nei panni degli eroi omerici. Animeranno, cioè, delle armature vuote con maschere al posto del volto: come fossero burattini. Marionette che, nelle mani delle divinità, diventano Achille, il compagno fidato Patroclo, l'indovino Calcante, il troiano Paride, la sedotta Elena causa del conflitto, il principe dei troiani Ettore e sua moglie Andromaca. Le marionette richiamano uniformi ed armi del periodo ellenico e, grazie all'ottimo lavoro di tutti gli interpreti, creano sulla scena un gioco di sovrapposizione di ruoli e movenze senza alcuna sbavatura (considerata anche la difficoltà d'esecuzione), vero punto forte dello spettacolo. Le marionette risaltano sulla scena, anche grazie all'utilizzo delle luci (disegnate da Davide Scognamiglio) che ne mettono in risalto fatture e movenze. E così vediamo i tratti salienti dell'Iliade svolgersi sotto i nostri occhi sotto le vesti di commedia. Perché è un gioco, quello della guerra. E poco conta se comporta uccisioni, sangue, dolore, perdite. Si sa, gli dèi sono capricciosi e si divertono come possono e vogliono. Metafora dolceamara non tanto del presente, quanto della storia dell'umanità, sempre caratterizzata dal volere di una schiera di potenti regnanti ai danni di sudditi inermi e inconsapevoli vittime di desideri esecrabili.

Lo spettacolo si muove tra classicità e contemporaneità, come i costumi che rivestono i protagonisti (realizzati da Francesco Esposito), dal possente Zeus di Boni, che si è abbandonato ad un'interpretazione più giocosa, leggera, ironica e, in virtù di ciò, divertentissima; all'inflessibile e materna Era di una esuberante Iaia Forte dallo stile vezzoso, che ha dato vita ad una recitazione brillante e dal bel ritmo. I due pilastri dell'Olimpo, che sulla scena passano dal dramma divino alla commedia umana che attraversa tutte le coppie con i consueti battibecchi, affiancano gli altri dèi, dai giovani e spigliati Hermes (Haroun Fall) ed Atena (Elena Nico), con giubbotto di pelle ad indicare la sfrontatezza della gioventù, al balbuziente e sopra le righe Ares (Francesco Meoni), dalla seducente Afrodite dai costumi orientali (Jun Ichikawa) ad Apollo (Marcello Prayer), fino alla nereide Teti (Elena Vanni).

Un'Iliade divertente, altamente teatrale, caratterizzata da una recitazione piena di ironia. Scelta stilistica in perfetto controcanto con la crudeltà di fondo, sebbene ironica e leggera, del poema. Solo con l'umorismo le maschere svaniscono mostrando le verità che nascondono.

Conflitti che si svolgono attraverso le mani dei potenti, di ieri come di oggi, con un'insolenza tipica di chi si crede immortale e manda in guerra poveri uomini incapaci di reagire. Espedienti di un mondo arcaico che purtroppo ritrovano un'eco ancora oggi, con la paura e l'egoismo che portano l'Uomo ad agire al di fuori della Ragione.

Elementi intrinseci ad ogni uomo, che ognuno deve tenere a bada, perché la ferocia compare, purtroppo, ancora oggi. Non è un caso allora che, nello scontro con Achille, Ettore torni in scena dalla platea, richiamando i presenti verso una presa di coscienza che riguarda i singoli. Una presa di coscienza che non trova scusanti, nemmeno nelle possibili divinità che "manovrano" gli eroi, come marionette, appunto. Questo gioco degli dèi, questo ricordo di una guerra persa nei meandri del Tempo, porta con sé quel quesito iniziale di cui sopra, forse senza risposta. E a quel punto che succede? Semplice: gli dèi, i potenti, continueranno a festeggiare, a danzare ed a divertirsi.

Alessandro Caria

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