Sul divano della disgregazione sociale con Fosse e Binasco

21.03.2024

di Franco Travaglio

"Siamo tutti qualunque, ma lo siamo poeticamente". Annota questa citazione da Jon Fosse, Valerio Binasco nelle note di regia della sua ultima fatica per lo Stabile torinese, La Ragazza sul divano del premio Nobel 2023. 

E di quella poetica del quotidiano, dello squallore eroico di piccoli personaggi apparentemente inutili ma quasi allegorici, intride tutta la messa in scena vista al Carignano. Siamo in un interno piccolo borghese (le scene e le luci sono di Nicolas Bovey, i costumi di Alessio Rosati), ma il velatino che separa la stanza da letto appare all'inizio come un quadro in divenire, unendo arte e realtà. Artista (mancata) è la protagonista antonomasticamente "Donna" (una superba Pamela Villoresi) ma rigetta la propria arte perché consapevole del dono di "vedere" ma non di quello di saper fissare su tela le sue visioni. Già, ma chi vede? Sé stessa da Ragazza (Giordana Faggiano, efficace nel vestire il passaggio tra ingenuità e disincanto) e i personaggi della sua giovinezza, diremmo la sua famiglia se non fosse che la forza centrifuga (uno dei pochi elementi scenici è una lavatrice, oggetto di consumo che divora costumi e accessori) di un tradimento sta facendo deflagrare il nucleo degli affetti: la Madre (ma quant'è brava Isabella Ferrari?), trascurata dal marito, un marinaio sempre assente, trova consolazione, e sensi di colpa, nella relazione con l'empatico Zio (un Michele Di Mauro sornione e maestro di misura).

Alla Ragazza non resta che rifugiarsi sul divano, in bilico tra l'infanzia della bambola regalo del padre e i vestiti provocanti della sorella (Giulia Chiaramonte, grande prova da attrice accanto a tanti mostri sacri) che ne demolisce cinica le illusioni. La Donna vive nella sua maturità tutto il disagio nato dalla mancata accettazione di sé da parte dei famigliare, e la risultante impossibilità ad accettarsi. Rimarrà sola, incapace di accettare la relazione con l'Uomo (lo stesso Binasco, che si ritaglia il cinismo mediocre di un personaggio che non lotta per i propri sentimenti ma si lascia vivere alzando le spalle) ma nemmeno in grado di vivere da sola, sopraffatta dalla noia, dalla rabbia e dalla presenza sempre più oppressiva dei fantasmi del proprio passato.

Sta proprio nello spaccato sociale, e nell'interessante meccanismo drammaturgico che alterna efficacemente personaggi attuali e del passato, in un continuo flash-back che denota grande dimestichezza nella scrittura teatrale, il fascino di questo testo, che dipinge con efficacia, e senza dare soluzioni o messaggi, la disgregazione sociale e psicologica che segna la crisi moderna dell'individuo, della famiglia, del senso di comunità, che si riverbera nell'attitudine attendista e bloccata ("sdraiata" direbbe Michele Serra) dei più giovani.

La donna sparirà, resa fantasma lei stessa, nel suggestivo finale. Finirà dietro a un suo quadro, mancato, mai finito e coperto da un pavido telo grigiastro. Come la sua esistenza.

Franco Travaglio

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