Siamo un po' tutti Figaro
di Franco Travaglio
Non si spiega solo con la musica sublime, i caratteri vividi e immortali, l'intreccio intrigante il fascino eterno de Le Nozze di Figaro. Come si può restare quattro incollati alla poltrona, senza un accenno di noia o di calo di attenzione, di fronte alla messa in scena di un'opera scritta quasi 240 anni fa, come se fosse il concerto dell'ultima pop star o il film di successo del momento?
La parola magica è "umanità". L'opera mozartiana mette in scena noi, coi nostri vizi, i nostri desideri, le nostre astuzie gabbate e le nostre ingenuità disvelate. Ci mette sotto il vetrino del 'macroscopio' teatrale e spia il nostro comportamento alle prese col reagente più devastante mai inventato: l'amore.
Non fa differenza, grazie alla perfetta adesione dell'allestimento di Emilio Sagi alle indicazioni del libretto, senza voli pindarici simbolisti o inutili forzature e alla filologica direzione del giovane Leonardo Sini.
L'opera fa parte di ben due trilogie: quella del drammaturgo ispiratore, Pierre de Beaumarchais, dedicata al personaggio di Figaro, comprendente anche Il Barbiere rossiniano, e quella dapontiana di Mozart, con Don Giovanni e Così fan tutte.
Non penso ci sia collaborazione più riuscita nella storia dell'opera: le nozze (è il caso di dire) tra la musica mozartiana e libretto del presbitero-poeta Lorenzo Da Ponte, melodia e drammaturgia, inventiva armonica e studio dei personaggi, non sono mai più state così felici, segno che i due possedevano una sintonia perfetta, lavoravano sulla stessa lunghezza d'onda. O semplicemente, appunto, avevano un'unica passione, un medesimo oggetto di studio, le passioni umane declinate con mirata leggerezza, con un'efficacia che ci fa gridare al miracolo.
Chi si ritrova nell'impacciato adolescente che non sa bene dove dirigere la tempesta ormonale e finisce per innamorarsi di tutte le dame che incontra, senza far differenza di ceto o età? Cherubino è l'epitome di questa fase sospesa tra l'entusiasmo fanciullesco efebico (ruolo en travesti, è interpretato qui dalla stupenda voce e dalle movenze versatili di Josè Maria Lo Monaco) e le trepidazioni adulte.
Chi vive una relazione adulta, segnata dalla stanchezza di un rapporto usurato, sospeso tra il perdono reciproco e l'addio? Ecco il Conte e la Contessa di Almaviva (Vito Priante e Ruzan Mantashyan, che uniscono vocalità e fisicità perfette), nel coté più serioso e drammatico, ma non meno intrigante.
Chi infine sta per coronare il proprio sogno d'amore col proprio partner, e magari deve schivare qualche gelosia e qualche allusione di troppo si ritrova perfettamente nella coppia protagonista di Figaro e Susanna (Giulia Semenzato e Giorgio Caoduro sanno recitare alla grande e hanno voci duttili e incantatrici).
Tutte le componenti sono legate da deliziosa malizia, un intrigo imprevedibile da rom-com moderna in cui la fa da padrone il gioco del teatro con i suoi irresistibili topoi (il sospetto amante nascosto nell'armadio, il travestimento, il sospetto immotivato e la tresca gabbata, e così via).
In scena il vero e proprio protagonista del libretto: il letto. Mai consumato ma sede di sogni, struggimenti, preparativi, plurimi nascondimenti, e presente nella versione umile di Figaro (che lo costruisce nella scena iniziale, invece di testarne la collocazione, unica licenza poetica, giustificatissima, di Sagi) e in quella sontuosa dei Conti.
Ma le apparenze ingannano e i più ricchi sono i meno felici e i più umili più soddisfatti, chi crede di gabbare viene uccellato e su tutto la donna si prende una grande rivincita sull'uomo, a tutti i livelli.
Scritto di nascosto, dice lo stesso Da Ponte, da Mozart, perché sfidava la censura imperiale, oggi potrebbe temere una censura woke, per la dura tirata, in odor di sessismo, "Aprite un po' quegli occhi" in cui il protagonista (convinto che Susanna lo tradisca) rivolge agli uomini un avvertimento, sfogando la propria rabbia contro le donne. Ma abbassino la scure le paladine della cancel culture: Figaro dice cose deplorevoli, sì, ma pagherà pegno a suon di schiaffi. Il teatro è questo: non serve cancellare, basta attendere e la trama farà giustizia, cercando anche di immedesimarsi nella cultura maschilista e classista dell'epoca.
E poi chi avrebbe il coraggio di tagliare una nota, un verso, una scena, un personaggio da questo capolavoro che così tanto tempo ci emoziona con un libretto geniale e una partitura sublime?