Aspettando Gogol’

05.02.2024

di Franco Travaglio

"1836, Regno dello zar Nicola I. Per controllare la vita e l'operato dei suoi sudditi, lo zar istituisce un nuovo organo di Stato chiamato "Terza Sezione". È una sorta di inquisizione che persegue e ostacola tutti i liberi pensatori, fra cui Dostoevskij, Puškin e Gogol' stesso. In breve tempo questo sistema scatena un processo di burocratizzazione della macchina amministrativa ed aumenta esponenzialmente il livello di corruzione fra i funzionari statali." Nell'introdurre l'ambientazione de L'ispettore generale, spassosissimo riadattamento del capolavoro gogoliano visto al Carignano di Torino per la stagione dello Stabile, la scheda di sala ce ne fornisce anche la chiave di lettura, la motivazione profonda riverberata dalla sua estrema attualità. Da un lato la dittatura del pensiero unico, che ormai sdogana le pulsioni peggiori dell'animo umano, e dall'altro la corruzione lasciata libera di drogare appalti, rapporti commerciali e tutte le normali funzioni delle istituzioni nei rapporti con i cittadini. Sembra la fotografia dell'Italia di oggi: a distanza di quasi due secoli ritroviamo l'allegoria del potere che lungi da curare il bene pubblico si fa interesse, privilegio, discrezionalità, e la meschinità del cittadino che tenta di corrompere l'uomo di poter per far sì che i propri vizi non vengano sanzionati. Già, perché il più pulito c'ha la rogna e di notte tutti i gatti sono grigi, e il mal comune, o il malcostume, produce il paradosso di una società votata all'autodistruzione, visto che a furia di rubare l'un l'altro non rimane più nulla per tutta la comunità.

A questa feroce satira politica e di costume si aggiunge un elemento surreale legato al gioco del teatro: l'equivoco nato dallo scambio di persona.

Nel villaggio russo in cui si muovono i grotteschi protagonisti della pièce, un gruppo di piccoli funzionari di provincia (il Sovrintendente alle Opere Pie, il Direttore Scolastico, l'Ufficiale Postale, il Giudice, il Podestà), dietro i quali la vis satirica dell'autore nasconde i veri obiettivi del suo pamphlet sta per arrivare il suddetto Ispettore, e ognuno teme di perdere la propria piccola fetta di potere se dovesse scoprire il loro scheletro nell'armadio, le piccole grandi malversazioni di cui si sentono colpevoli. Quando il personaggio viene avvistato in città tutti iniziano a coprirlo di favori, di suppliche, di regalie. Le excusatio non petite sono ancora più comiche perché rivolte non al vero ispettore, ma a un nobile decaduto e spiantato, morto di fame e di freddo, pieno di debiti e incredulo nel ricevere tante immeritate attenzioni.

Insomma una sorta di remake ante-litteram di Aspettando Godot, in cui Godot non arriva, ma tutti sono convinti di vederlo e incontrare in lui la salvezza. Se Vladimiro ed Estragone sottolineavano l'assurdo esistenziale dell'impossibilità nella vita di raggiungere il proprio obiettivo, i personaggi di Gogol' ci comunicano il grottesco di chi è convinto di incontrare il proprio salvatore ma in realtà sta investendo le proprie speranze e risorse sulla persona sbagliata.

L'approccio iperbolico e ipertrofico dell'adattamento, così come l'aspetto comico e caricaturale, è amplificato nel bell'allestimento diretto da Leo Muscato, che si avvale delle scene di Andrea Belli e dei costumi Margherita Baldoni. Cappottoni, colbacchi, abiti folcloristici, casette stilizzate, porte, finestre, tutta la parte visiva contribuisce a ricreare una Russia di maniera, tra il fumetto e il realismo, a sottolineare l'aspetto grottesco e di colore di una vicenda che entra nell'immaginario.

Come le fiabe che parlano di storie e sentimenti eterni e universali, la corruzione, i leccapiedi, gli approfittatori, sono istanze e personaggi che incontreremo sempre nella storia dell'uomo in ogni parte del mondo, e l'Italia sembra destinata a tornare, dopo rari momenti di sensibilizzazione dell'etica e del bene pubblico, a vedere la politica peggiore rispecchiare i vizi peggiori del popolo.

Rocco Papaleo - mettendosi con diligenza al servizio della regia senza gigioneggiare - incarna la simpatia, la grettezza, il cinismo del Podestà, ma tutta la compagnia, ricca di caratteristi che rendono caricaturale e irresistibile la galleria di varia umanità che compone questo spassoso e crudele ritratto di insieme.

Franco Travaglio

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