Manon Lescaut

18.11.2024

di Franco Travaglio

Il coraggio di amare. Il coraggio di creare. Contro tutto e tutti, contro le convenzioni sociali, le convenienze, il sentire comune, il perbenismo, il quieto vivere. Seguire la passione e non sentire altro. Sono tratti del personaggio immortale di Manon, al centro di una trilogia inedita, che il Teatro Regio accarezza da tempo ed ha finalmente realizzato, e che mette insieme tre "messe in musica e teatro" con tre grandi partiture: la pucciniana Manon Lescaut, la Manon di Massenet e quella, prima in ordine cronologico, di Daniel Auber. Lo dichiara, emozionato, il sovrintendente dell'Ente torinese Mathieu Jouvin: "abbiamo avuto bisogno di tre opere per presentare appieno questo ruolo così complesso". Ma quel coraggio è anche proprio dello stesso Puccini che si appresta a comporre la sua Manon. 'Appena' trentacinquenne, reduce dalla non esaltante accoglienza del suo "Edgar", il musicista si butta a capofitto in questo nuovo soggetto quando il buon senso gli avrebbe suggerito di tenersene alla larga: c'era già la versione di Auber, di grande successo, e Massenet, infinitamente più celebre del giovane Giacomo, ne aveva già annunciata una riscrittura. Eppure c'era qualcosa in quella trama, ispirata al romanzo dell'abate Antoine François Prévost "Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut", una passionalità assoluta, una sfrenata carnalità che non poteva che toccare le corde di colui che trasfuse l'eros nel teatro musicale come nessun altro prima e dopo di lui. Manon si fa guidare dall'istinto, sia esso l'amore per lo squattrinato studente Des Grieux, sia esso la voglia di lusso, di assaporare tutti gli aspetti della vita mondana parigina, che la spinge tra le braccia di Geronte. Non c'è praticamente (altro) intreccio se non le conseguenze, fatali, delle passioni di Manon e di chi lei trascina con sé verso lo sprofondo, ché la vita è impietosa nei confronti di chi la prende a morsi.

Il successo fu invece travolgente per la Lescaut pucciniana, lanciando definitivamente la sua carriera sulle ali di una partitura volutamente ipertrofica, agghindata di tutti gli effetti speciali sinfonici puntute frecce al suo arco, tanto da essere bacchettato da un invidioso Verdi che gli rimproverò la mancata concentrazione sulla predominanza vocale rispetto ai pieni orchestrali.

In tanta esibizione di coraggio ci si aspettava la stessa audacia creativa da parte del nuovo allestimento del Regio, invece le scelte di Arnaud Bernard si limita a un compitino piuttosto sterile, contando sullo sfarzo delle scenografie firmate da Alessandro Camera e gli stilosi costumi di Carla Ricotti. L'idea del 'cinema nel teatro' (le prime scene sono viste come durante le riprese di un film, con tanto di riflettori, cineprese e attori che a volte tengono in mano la sceneggiatura) sarebbe originale se non venissimo da una Fanciulla del West con il medesimo approccio e un Gianni Schicchi ambientato su un set televisivo. Più presenti però in questo allestimento sono le proiezioni di materiale cinematografico di repertorio (dalla stessa 'Manon' di Henri-Georges Clouzot a 'Les Enfants du Paradis' e 'Pépé le Moko' di Jean Grémillon). La scelta risulta spesso però un ripiego per ovviare allo scarso fisique du role di alcuni interpreti (il Des Grieux di Roberto Aronica, pur dalla voce calda e sublime, si rivela, per stazza ed età, uno studente molto ripetente..), visto che in molte scene smettiamo di guardare i cantanti assorbiti come siamo dalle immagini gigantesche tratte da pagine immortali della cinematografia degli anni '30 e 40. Eppure il lavoro sul personaggio della magnifica Erika Grimaldi, che mette al servizio del personaggio la sua estatica e duttile vocalità a esaltare le struggenti melodie pucciniane, è stato davvero importante, così come per tutti gli altri componenti del cast.

Aspettiamo le altre due Manon, ispirate ad altre due epoche cinematografiche, per comporre il puzzle di questo meraviglioso personaggio, sperando di ritrovare la sua disperata passionalità anche nell'aspetto visivo della messa in scena. 

Franco Travaglio

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