Massini e l'orrore del Mein Kampf

25.03.2025

di Franco Travaglio

Ci sono spettacoli che lasciano un segno, per la loro vibrante potenza, per come riescono a interrogarci su tematiche imponenti, per come riescono ad illuminare pagine di storia che abbiamo confinato nei meandri di rimozione forzata del nostro inconscio, di fronte al cui abisso ci siamo fermati a un passo dallo strapiombo, forse perché ci manca il coraggio di guardare negli occhi l'orrore, o forse convinti di non avere gli strumenti per raccontarlo.

Questo coraggio l'ha avuto Stefano Massini, non a caso l'unico italiano ad aver vinto il Tony Award, che ha deciso di fronteggiare il libro del Male per antonomasia, Mein Kampf (La Mia Battaglia) di Adolph Hitler, e in particolare la prima parte, dettata a voce a Rudolf Hess durante la loro reclusione in seguito al tentativo di colpo di Stato di Monaco del 9 novembre 1923.

Ma prima di addentrarci nelle parole della propaganda hitleriana Massini appare sotto il proscenio a raccontarci di un altro tedesco, Emil Erich Kästner, il più noto scrittore di libri per bambini, costretto dal regime e dalla propria ignavia ad assistere al rogo dei milioni di volumi messi all'indice dal nazismo. L'autore lo incontra ormai anziano nel dopo guerra e dalla sua riflessione parte tutto lo spettacolo: non erano stati i nazisti ad aver acceso quei roghi, ma un altro libro, proprio Mein Kampf, ad aver causato la distruzione di tutti gli altri. E dopo Norimberga quel libro era stato a sua volta distrutto, cancellato in tutta la Germania e severamente proibita la sua lettura. Perché? Perché non sapevamo se avremmo superato l'Esperimento: sentire quelle parole ci avrebbe lasciati indifferenti, ci avrebbe indignati o ci avrebbe forse convinti, come aveva trascinato milioni di tedeschi dietro la folle ideologia hitleriana? Da nove anni il divieto è saltato e quindi siamo pronti per l'Esperimento, che Massini porta nei nostri teatri, non senza sottolineare (fuori dal palco) inquietanti somiglianze con certi "uomini forti" oggi al potere e – mutatis mutandis – le loro forme di propaganda.

Quando Massini sale sul palco, dominato dalla luce di un enorme foglio bianco che si affolla via via coi detriti evocati dai pensieri del dittatore (la scenografia, di grande impatto è di Paolo Di Benedetto), si trasforma e deforma espressione facciale e gestualità, diventando un Hitler ossessivo-compulsivo, che ripete frasi ad effetto, quasi ad auto-convincersi dei propri slogan prima di convincere gli altri.

Lo vediamo prima nella miseria della casa paterna, dove rifiuta pervicacemente un futuro da piccolo ingranaggio della burocrazia ("io non sarò un impiegato" è uno dei tanti mantra dell'opera) e si chiede ostinatamente: "da dove si parte per cambiare il mondo, per cambiare tutto?", poi pittore di paesaggi a Vienna, fanatico studioso di storia germanica a Monaco, ferito di guerra prima affascinato dalla potenza selezionatrice dei conflitti e poi indignato per la resa tedesca nella seconda guerra mondiale, e infine apprendista politico con i primi comizi nel Partito dei Lavoratori Tedesco.

Massini ci fa entrare nell'apprendistato pre-politico e nella psiche dell'uomo-Hitler, che studia i suoi concittadini e li capisce come nessun altro: da un lato nota l'impotenza supina dei proletari in attesa che qualcuno soffi sulle ceneri della loro rabbia, e dall'altra l'inutilità dei borghesi privi di una guida che sappia incanalare il loro benessere in un progetto di riscatto.

Il futuro Führer metterà a frutto la sua capillare osservazione del popolo tedesco e darà un ordine definitivo a tutte le tessere del suo puzzle criminale quando troverà la chiave di volta del suo progetto: il nemico su cui addossare tutte le colpe che hanno umiliato un impero un tempo glorioso e reso ininfluenti pedine i suoi abitanti: l'ebreo.

La recitazione di Massini è istrionica, violenta, grottesca, entra nel personaggio potentemente, tanto che, quando alla fine vi esce, accolto da un diluvio di applausi che sembra non finire, rimane quasi allibito dalla propria performance.

Quasi si rendesse conto solo alla fine di quanto facesse orrore guardare il burrone dallo strapiombo, e da quanto sia importante riconoscere il persuasivo fascino della propaganda, che può trascinarci tutti verso il baratro. L'Esperimento ha questa fondamentale importanza, oltre a un enorme fascino drammaturgico. Lo consigliamo a tutti.

Franco Travaglio

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