Saloneide 25 - Tutto il Salone del libro incontro per incontro
di Franco Travaglio
Ed eccomi a parlarvi del Salone del libro di Torino 2025, sempre più affollato, 'ggiovane' e politicamente corretto che mai, con tanti appuntamenti per tutti i gusti, con svariati problemi di sovrapposizione che ci spingono per le prossime edizioni a sperare in nuove scoperte nel campo della bilocazione e clonazione dei visitatori, o più semplicemente nelle dirette streaming degli eventi più seguiti.
Per chi non ce l'ha fatta e non ha superato lo scoglio di programmi, prenotazioni (per fortuna da quest'anno comunicate in anticipo), e code, ecco il resoconto degli incontri (non so voi, io ho sviluppato un'idiosincrasia per l'abusatissimo anglicismo 'panel') a cui ho assistito.
DON LUIGI CIOTTI
Cento passi verso un'altra Italia (Piemme)

Iniziamo subito in controtendenza con l'edizione di quest'anno intitolata "Le parole tra noi leggere", e ascoltiamo la voce di un testimone dell'Italia che lotta per salvare la società, e in particolare i giovani, dalla morsa della criminalità organizzata. Nel suo nuovo libro racconta la storia dell'associazione di cui è fondatore, Libera, nata contro le dipendenze e diventata anti-mafia dopo la strage di Capaci: Falcone avrebbe dovuto incontrare Don Ciotti poco prima di essere assassinato, e aveva previsto la futura espansione della criminalità organizzata verso il nord e anche oltre le Alpi, cosa che si è puntualmente realizzata. Oggi Libera è una galassia di associazioni trasversali e transnazionali attiva contro violenza e ingiustizie in America Latina, in Europa e Africa.
Tra i cento passi del libro, moltissimi avanti, prima fra tutti la legge per i beni confiscati, che grazie alla sensibilità di Papa Francesco è stata portata in Vaticano in un convegno di due giorni per poterla esportare anche a livello internazionale, e l'istituzione della Giornata della memoria per le vittime di mafia, la cui approvazione è stata segnata da una 'conversione' resa possibile dalla ferma presa di posizione di un gruppo di guardie penitenziarie della scorta di un parlamentare capogruppo recalcitrante. La Giornata è stata ispirata dalla mamma di una vittima di Capaci, che durante una commemorazione piangeva perché il figlio non era mai ricordato col suo nome e cognome ma con l'epiteto di "uomo della scorta di Falcone".
Tra i passi indietro, che ci ricordano che la memoria non è nulla senza l'impegno a continuare sempre la lotta per la legalità, il fatto che la mafia è più forte che mai, transnazionale, tecnologica padrona dell'intelligenza artificiale (che è già diventata intelligenza criminale). Oggi i mafiosi sono manager e imprenditori e sempre più in grado di penetrare e condizionare le istituzioni, tanto che quel sistema legislativo invidiato in tutto il mondo è sempre più a rischio e al centro di riforme che lo intendono via via smantellare.
Anche le vittime della mafia per l'80% non hanno ancora giustizia, la ricerca della verità non deve andare in prescrizione, anche perché tra gli ultimi 181 arresti molti sono pregiudicati ma in gran numero sono giovani. La criminalità ha una enorme capacità di rigenerarsi, l'ultima mafia è sempre la penultima, e la magistratura riesce a colpirla solo in superficie, per sradicarla serve una lotta di civiltà, politiche sociali, cultura, educazione e lavoro. Le mafie si nutrono principalmente di ingiustizia, con la crescita dell'abbandono scolastico e della povertà serve un piano Marshall per far in modo che i giovani non cadano vittime delle mafie sempre disposte a riempire i buchi lasciati dalle istituzioni assenti.
YASMINE REZA
Lezione Inaugurale del Salone del Libro 2025

La drammaturga e romanziera Yasmina Reza dedica la sua Lectio Inauguralis al fondamento della sua ispirazione artistica.
Lo fa prendendo spunto da una frase tratta da una docufiction Netflix, in cui una ergastolana risponde sulla sua infanzia con un "vediamo un po'..." seguito da una significativa risata che apre un mondo. Sì perché tutto il nostro sistema di valori nasce in quel periodo così basilare e delicato, e anche per gli scrittori la tavolozza sociale da cui si attinge per dipingere le proprie opere si forma nei primi anni di vita.
«Questo "veniamo da lontano" è un accenno alla mia genealogia. Che è vastissima e si estende ben oltre i legami di sangue. Sono coloro che hanno popolato i miei testi. Venivano da lontano. Non soltanto da altre regioni del mondo. Da lontano, semplicemente, da vite che non conoscevamo.»
Il concetto di sradicamento e di imperfezione caratterizzano tutti i personaggi che hanno gravitato tra famigliari e conoscenti quand'era bambina, in un girotondo di ricordi e aneddoti, come quello che ha come protagonisti sua mamma e una barista. Alle critiche ripetute e offensive, la donna che fronteggia da sola un locale affollato risponde in modo secco di tacere. L'imbarazzo dell'autrice che aveva tentato di calmare la madre è sintomatico di un mondo non binario, fluttuante tra bene e male, in cui colpe e ragioni non sono tratteggiate in modo netto.
E danno anche il senso di una poetica, quella reziana, in cui è molto importante il ritmo, e in cui il focus è sempre sul lato più intimo della vita sugli esseri umani e i loro stati d'animo, che rappresentano il "vivaio" alla base di tutte le sue opere.
Accanto ai personaggi dell'infanzia prendono posto nel suddetto vivaio anche gli attuali amici della scrittrice, come una coppia che non resiste, fin dalla campagna elettorale che ha visto la rielezione di Trump, a ballare imitando le movenze del tycoon.
Per ritrarre la contemporaneità, caratterizzata dai tentativi di sfuggire alla noia, alla paralisi del pensiero dovuta all'eccessiva velocità dei cambiamenti, le basta attingere a questo campionario di umanità e farlo muovere nella scacchiera della sua fiorente narrativa, sia nella prosa che nel teatro.
GIANLUIGI BUFFON
Cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi (Mondadori)

Buffon è senza dubbio una delle icone del nostro calcio, e non è necessario essere juventini per interessarsi al suo incontro, in cui tra l'altro si confronta con un intellettuale simpatico e 'non allineato' del calibro di Paolo Nori.
Il celebre portiere traccia un bilancio della sua incredibile carriera: tre anni al Parma, diciannove alla Juve e uno al Paris Saint Germain, ma sol da alcuni episodi si accorge veramente del proprio carisma e di quanto entri nella sensibilità comune una professione all'apparenza futile e priva di spessore come quella che semplicemente tenta di evitare i gol altrui ("abbiamo il super-potere di cambiare lo stato d'animo di metà stadio").
Uno di questi episodi rivelatori avvenne all'addio al calcio del portiere del Camerun Thomas Nkono, manifestazione in cui si sentiva l'unico bianco in tutto il paese africano. Attaccato al tettuccio del pulmino che riportava i calciatori in albergo scopre un ragazzo che vi si era abbarbicato perché aveva identificato gli atleti come speranza di riscatto da una vita di miseria.
Ma sono tanti i racconti divertenti che affiorano alla memoria di Buffon come il discorso del ct Lippi dopo la disastrosa eliminazione ai Mondiali in Sudafrica "Non preoccupatevi, non siete responsabili, è colpa mia, sono stato io un coglione a scegliere voi", o come la sicurezza ostentata ai compagni del Parma prima della sfida con il Milan, quando si addormenta addirittura sul bus prima di arrivare allo stadio.
Ma la citazione più divertente si deve a una delle personalità più simpatiche e pittoresco del calcio d'antan, l'allenatore Carletto Mazzone, che dopo averlo cadere e rialzarsi più volte in una serie di parate impossibili lo gela con una battuta fulminante: "Aho, me sembravi Lazzaro".
Particolarmente affascinanti anche i suoi ricordi legati ai Mondiali ("competizione che unisce i popoli e ha conseguenze su tutta una nazione"), e ovviamente la mente va alla vittoria in Germania contro la Francia di Zidane, la cui celebre testata fu fatta notare per primo da lui, in quello che fu il primo caso di var, anche se tutta umana. Dall'altro lato della medaglia il triste ritorno dopo i mondiali in Corea e Giappone, in cui le ingiustizie arbitrarli del famigerato Moreno salvarono la squadra dai pomodori dei tifosi che invece, nonostante la eliminazione fosse in gran parte anche colpa dei giocatori, empatizzarono con la nazionale.
Non manca una riflessione sulla famosa dichiarazione sull'arbitro ("ha l'immondizia al posto del cuore) che vanificò l'irresistibile rimonta della sua Juve contro il Real: "mi vergogno di quelle parole ma le ridirei", e un pensiero sulle nuove leve calcistiche, che non salutano ma sono chine sui cellulari, lasciandoci una grande nostalgia per il calcio di Carletto Mazzone, ormai lontano anni luce.
ALESSANDRO ORSINI
Casa Bianca-Italia. La corruzione dell'informazione di uno Stato satellite (PaperFIRST)

Eccoci giunti a uno degli incontri più stimolanti con un professore che rifugge il politicamente corretto e rappresenta un argine alla disinformazione e alla propaganda bellicista da cui siamo sommersi quotidianamente. E non lo fa esprimendo opinioni ma il risultato di ricerche condotte con rigore scientifico.
Sottolinea proprio quanto questo approccio sia combattuto dalla (dis)informazione mainstream, che ha sempre reagito con insulti e epiteti preconfezionati contro chi ha cercato di indicare le cause della guerra in Ucraina.
Dietro questo atteggiamento e tutta la propaganda c'è un complesso di superiorità dell'Occidente che si ritiene una civiltà superiore, retaggio di pregiudizi ottocenteschi: tutte le democrazie occidentali si sentono superiori e rivolgono il loro disprezzo nei confronti di tutti i Paesi considerati nemici degli Stati Uniti.
La susseguente corruzione dell'informazione viene divisa dall'autore in due sottogruppi.
C'è la corruzione x Autoinganno, come quelli che credono ancora in buona fede che la Nato sia un'alleanza difensiva, mentre dopo le guerre del '99 e del 2011 contro la Serbia e la Libia dovrebbe essere chiaro che si tratta di un'alleanza offensiva. Come in tutte le ideologie, si distorce la realtà.
Nei casi di corruzione per inganno invece si mente sapendo di mentire, come quando si dice che l'intervento nella guerra in Ucraina non ha come obiettivo battere definitivamente la Russia, quando invece questo intento è esplicitato direttamente in molte dichiarazioni dell'ex-Segretario Nazionale della stessa Nato Stoltenberg.
La corruzione per inganno è resa possibile dalla classe giornalistica italiana, che come quella politica è succube della narrazione della Casa Bianca perché entrambe ne ricavano dei vantaggi di carriera, trasformando l'Italia in uno stato satellite degli USA.
Dopo il crollo della prima repubblica e del muro di Berlino, e la successiva espansione della Nato e degli usa in Europa la sudditanza italiana diventa ancora più palese, e raggiunge vette inarrivate con l'attuale governo Meloni.
Per dare forza alla sua tesi Orsini si produce in quello che definisce "esperimento sociologico", consistente nella ripetizione prolungata della seguente frase: "Trump è un volgare criminale assassino e massacratore di bambini mussulmani", che produce un certo effetto soprattutto se paragonata all'effetto che avrebbe una frase simile riferita a Putin, sicuramente sdoganata e accettata in tutti i consessi politici e mediatici. Eppure Trump foraggia direttamente il massacro e la deportazione dei palestinesi in atto. Il coraggio di pronunciare certe verità non dipende dalle verità in sé ma dal contesto. E il contesto attuale dimostra che certe affermazioni si possono fare e altre no, a seconda della propaganda in atto.
Un altro elemento che fa capire l'enorme influenza degli USA nella politica italiana sono le tante ingerenze dirette nella scelta dei governi e delle principali figure istituzionali, ad esempio la disapprovazione nei confronti della candidatura alla Presidenza della Repubblica di Franco Frattini, ritenuto troppo filo-russo, a cui fu preferito Mattarella, attestata da una telefonata americana di scomunica ammessa da Matteo Renzi.
Lo stesso Orsini ricorda di essere stato convocato in Parlamento in audizione e aver lanciato l'allarme di una imminente invasione Ucraina. Dopo che l'invasione c'è stata davvero è stato diffamato x aver detto che l'allargamento della Nato è la causa della guerra (sono state attestate ben 14 esercitazioni nato nel territorio ucraino), concetto poi ripetuto anche in questo caso da Stoltenberg.
Ovviamente tutto questo discorso non vuol dire che viviamo in una dittatura, ma ci sono molti punti in comune tra le nostre democrazie e le dittature, come proprio il sistema di informazione, che ci fa definire come la Bielorussia degli USA. Esemplare la via crucis subita dallo stesso saggista: ingaggiato dalla trasmissione Carta bianca, dopo i primi interventi dissonanti rispetto alla propaganda un esponente non del centrodestra ma del PD, l'allora presidente dell'Emilia Romagna Bonaccini affermò che non doveva essere pagato, e quindi, nonostante gli furono offerti ingaggi per 100.000 € decide di partecipare gratis alla trasmissione. Si tratta della classica tecnica "Colpirne uno per educarne cento": a fronte di un nome già famoso come lui che se lo poteva permettere ci sono molti altri giovani e sconosciuti reporter che ci pensano due volte prima di subire una sorte simile e si allineano al pensiero unico.
Perché l'obiettivo è solo diffondere la propaganda della Casa bianca non creare una coscienza critica, si punta a creare un senso comune, un pregiudizio non pensato, figlio del grande numero e non dell'analisi critica: lo dicono e ripetono in tanti e quindi sarà vero.
Un altro pregiudizio che viene accettato a priori è la superiorità morale delle democrazie occidentali rispetto alle dittature orientali, ad esempio perché da noi si rispetterebbero i diritti umani. Ma basta guardare a Gaza per capire che si tratta di un presupposto totalmente falso.
Perché se non vogliamo usare il termine di Genocidio, si possono sicuramente definire le operazioni militari israeliane come "Pulizia etnica", visto che lo stesso ministro di Netanyahu Smotrich afferma che "Israele spara x distruggere Gaza e conquistarla", il tutto col sostegno delle democrazie occidentali, Germania, Usa e Italia in testa.
Il prossimo libro di Orsini sarà proprio dedicato alle 14 decisioni del governo Meloni con cui si è resa complice dei massacri a Gaza, a partire dalla compravendita di armi.
Tutto questo dimostra che le democrazie occidentali non sono affatto moralmente superiori a nessuno, e per questo sono allergiche alla verità e quindi la corruzione dell'informazione non farà che peggiorare.
Chi è interessato, può trovare qui la ripresa integrale dell'incontro.
LUCIANO LIGABUE E MATTEO ZUPPI
Le storie, la Storia. Dall'io al noi


Tra le combinazioni più fortunate e insperate di questo salone c'è sicuramente l'intuizione, che sulla carta e col senno di poi non si poteva totalmente immaginare così di successo, di mettere a confronto una rock star/cantautore tra i più amati e il cardinale che durante il recente conclave ha suscitato molte speranze come figura di continuità spirituale e umana con Papa Francesco.
Proprio dall'esperienza dell'elezione di Leone XIV parte il Cardinal Matteo Zuppi, che si schermisce dicendo che in caso di sua nomina al soglio pontificio avrebbe fatto come il protagonista di Habemus Papam di Nanni Moretti: avrebbe richiuso subito la tenda sulla folla osannante e sarebbe fuggito.
L'incontro è dedicato alle "storie" e 'Don Matteo' inizia sottolineandone l'autenticità: dietro ogni storie ci sono tante verità tante sfaccettature della realtà, mentre da piccoli dicendoci "non raccontare storie", riferendosi alle bugie, a ciò che non è vero.
Ligabue da parte sua si rifà alla scuola del cantautorato italiano, che per definizione racconta storie in musica. "Adesso anche il rock cantautorale è stato sdoganato, e mi posso esibire in luoghi pieni di arte e cultura, come la reggia di Caserta che ospiterà un mio concerto la prossima estate, ma prima era vista con sospetto. Sarà un privilegio, anche perché io dal palco godo di uno spettacolo migliore di quello che vedono gli spettatori, sono loro il vero show quando si lasciano andare alla parola cantata."
Sottolinea infatti che testi e musiche non vanno analizzate in modo separato perché la parola cantata assume una valenza e un fascino diversi rispetto alla parola letta o recitata.
Gli fa eco Zuppi citando Sant'Agostino "Chi canta prega due volte": il canto ci fa dire quello che non riusciamo a esprimere parlando.
Segue una riflessione sull'ego e la difficoltà a tenerlo a bada, il moderatore Gigio Rancilio ricordandogli la vittoria al FantaPapa, stuzzica il prelato, che ricorda come la cosa gli abbia fatto guadagnare molti punti presso i nipoti. Tornando serio cita lo stesso Liga sottolineando che l'unico modo per non essere vittime del proprio ego è "mettere in circolo l'amore", cosa che all'ego fa anche bene: per ricevere bisogna prima di tutto donare, se no si diventa gretti, autoreferenziali, banali e aridi.
Anche il rocker di Correggio ammette che chi sale si un palco non può che avere problemi con l'io. All'inizio della sua carriera non si era posto però il problema perché la vita da cantante era semplicemente una bella alternativa al lavoro però quando il livello di responsabilità si è alzato ha capito che la sua arte poteva essere utile soprattutto per le persone che non stanno bene, e quindi l'ego andava messo da parte per ripagare la fiducia che tanto pubblico riponeva in lui, e ha deciso di aprirsi totalmente a loro.
Anche nella propria biografia, che ha scritto in quella sorta di limbo temporale che è stata la pandemia, accenna a momenti molto intimi e drammatici come la perdita di un figlio, consapevole che affrontare il dolore può essere utile per empatizzare con chi sta passando un dramma simile che si crede insuperabile.
Anche Zuppi accenna a due momenti di dolore che hanno segnato la sua vita: la morte del padre e di una ragazza molto amica della comunità di Sant'Egidio, con cui condivideva la comunanza, la voglia di essere utili al prossimo: la morte di una coetanea è sempre un evento assurdo. Ma ogni morte dovrebbe toccarci profondamente, dalle tante vittime dell'ingiustizia che leggiamo tutti i giorni sui giornali, come i due bambini morti recentemente di freddo su un gommone. Nel cinismo ed egoismo da cui siamo circondati dovremmo soffrire e piangere di più: le lacrime sono un grande collirio che ci aiuta a vedere meglio.
Rispondendo sulle storie che hanno segnato la propria vita Ligabue ricorda le tante soddisfazioni, tutte sempre sudate, ma di cui è infinitamente grato. Anche il celebre ritornello "il meglio deve ancora venire" è più un auspicio che una constatazione, ma non potendo prevedere il futuro l'unica soluzione è attenderlo vivendo il presente con speranza.
Don Zuppi ricorda invece i capisaldi della sua attività con Sant'Egidio: la preghiera e la carità, e in particolare il momento in cui nel dopoguerra ha scoperto le baracche romane, in cui vivevano accampate diecimila persone: un'esperienza che gli ha fatto capire quanto poco sapesse della vita.
Infatti anche il Vangelo, che qualcuno vorrebbe ridurre a una storia come le altre, in realtà non è astrazione, è realtà vera, storica. Come dice Saint-Exupéry l'essenziale è invisibile, ma l'invisibile ti fa capire il visibile. Inoltre il Vangelo non è finito con la vita terrena di Gesù ma continua oggi. Conclude citando un'altra canzone di Ligabue: Dio non vuole stare solo e ci vuole al suo fianco a completare la sua missione.
Per il rocker la letteratura è una fonte inesauribile di storie, che permettono a ognuno di noi di tuffarsi in altre esistenze che avremmo potuto vivere o storie che hanno dei contatti con la nostra, in cui ci vediamo riflessi. Il libro che ha avuto più impatto nella mia crescita è stata Delitto e castigo, con il primo piano il senso di colpa.
Rispondendo alla provocazione di Zuppi, non ha scritto quella canzone con la certezza che Dio si senta solo, ma chiedendosi se non si senta abbandonato da noi: il tentativo è di umanizzare il padreterno come fa spesso nei suoi testi, in "Hai un momento Dio" lo vede addirittura vestito in un "gran bel gilet": si dice infatti laico ma con un pensiero spirituale che non sa a chi rivolgere.
La sua vita l'ha visto bambino negli anni 60, periodo pieno spensierato di speranza per il futuro, adolescente nei 70, in cui i giovani lottavano per cambiare il mondo. Oggi si trova in un mondo in cui 26 persone possiedono metà delle ricchezze del mondo, che è l'opposto di quello che si auspicava quella generazione. Questo senso di impotenza porta ansia infelicità, paura della guerra mondiale, a 80 anni dall'ultima.
Qui le riflessioni sul presente si intrecciano ai ricordi di famiglia: il nonno Marcello Ligabue è stato partigiano e ha vissuto sulla sua pelle la decisione di non prendere la tessera del partito fascista, ma non ha mai odiato chi l'ha perseguitato e affamato, tanto che lui ha scoperto tutto solo da ragazzo dopo un appello a scuola: in famiglia c'era pudore a parlarne.
Secondo Zuppi la paura per la guerra è un sentimento giusto ma deve portare consapevolezza e quindi speranza, senza la quale non si riesce a vedere un futuro. Per la pace si fa ancora troppo poco ma la chiesa cattolica essendo sovranazionale, ha più possibilità di battersi per un dialogo tra le nazione, per favorire l'unità dei popoli: la terra è come un'astronave nello spazio: solo insieme ci si salva. Questo sentimento lo viviamo davvero solo nelle emergenze, come è successo per il covid, ma dobbiamo convincerci che l'individualismo, nazionalismo non ha futuro: se non ci uniamo comanderanno sempre di più quei 26.
Il moderatore chiede a Ligabue perché oggi gli artisti non prendono posizione, come era successo invece nel passato quando con Jovanotti e Piero Pelù avevano inciso "Il mio nome è mai più".
La risposta fa riferimento alla difficoltà che oggi si riscontra nel far sentire le canzoni: ne escono troppe e pochissime lasciano il segno. Lui ha iniziato a scrivere canzoni sull'esempio di De Gregori e Guccini che per la prima volta non erano concentrati sul cantare ma sulla scrittura, oggi invece il focus è sull'apparire e non si affrontano quindi tematiche di spessore che rischiano di essere divisive. Anche il clima politico-sociale è diverso: l'input de "Il mio nome è mai più" fu politico: dalle istituzioni arrivò una chiamata: "La musica deve fare qualcosa" e scelsero di sposare la causa di Emergency contribuendo alla costruzione di un ospedale in Afganistan e dimostrando che essere pacifisti non è essere coglioni ma è l'unico atteggiamento umano e costruttivo.
Si finisce in leggerezza con i due ospiti spronati a ricordare un piatto che vorrebbero tanto riassaporare.
Per il Liga sono gli gnocchi della nonna, che gli fanno ricordare il legame inscindibile tra cibo amore. Da bimbo aveva avuto seri problemi di salute (si salvò per miracolo, grazie alla trasfusione del sangue di una suora) che gli avevano lasciato dei disturbi all'alimentazione, per cui mangiava solo gli gnocchi di nonna Barbara, assolutamente impossibili da replicare, finché incredibilmente gliene preparò di molto simili la sua compagna, omonima della nonna, peraltro non una grandissima cuoca.
Zuppi invece vorrebbe tanto tornare a gustarsi un bel risotto zafferano con i suoi genitori, ma anche le lumache profumate di solidarietà che una famiglia povera nella Borgata di Primavalle gli offriva quando dava ripetizioni al loro figlio.
ALESSANDRO BARBERO E ANNA FOA
La guerra delle parole

L'intrigante coppia di intellettuali è stimolata alla riflessione su alcune parole su cui si basa la propaganda bellica e che andrebbero abolite, o almeno ridimensionate e contestualizzate meglio per disarmare il linguaggio, come si auspicava Papa Francesco.
IDENTITA'
Anna Foa, storica che ha dedicato gran parte dei suoi studi agli ebrei in Europa sottolinea quanto il Sionismo, negando e rifiutando l'identità diasporica degli ebrei, abbia trasformato in un'arma da guerra i tentativi di ricostruire un'identità nuova e chiusa al mondo, i cui effetti nocivi si stanno spiegando in tutta la loro ferocia in questi giorni, ma da molto tempo, a Gaza.
Gli stessi ministri del gabinetto Netanyahu professano una superiorità, una supremazia che esplicitano tutta la pericolosità del termine. Andrebbe cancellato o declinato al plurale, parlando di varie identità, non di una sola. Lo stesso discorso, a posizioni ribaltate vale anche per i palestinesi che vorrebbero la distruzione di Israele riconoscendo solo la propria identità.
Barbero si rivolge al passato e alle prime forme di identità rivendicate per contrapporre la propria cultura, ritenuta migliore per definizione: il concetto di "barbari" faceva riferimento a chiunque sia diverso da noi, quelli che non parlano la nostra lingua, con alcune contraddizioni. Infatti ognuno è barbaro di qualcuno, secondo i greci anche i romani erano barbari, mentre per i romani era barbaro chiunque non fosse né greco né romano: "Gli altri sono barbari, ma noi chi siamo?".
Quando il moderatore, l'editore Giuseppe Laterza, lo riporta all'attualità citando un articolo del quotidiano Libero sulla fantomatica "identità occidentale", scalda la platea affermando che a lui non capita mai di leggere Libero. "Nemmeno a voi mi sembra". E aggiunge che se l'identità è intesa come senso di appartenenza sarebbe anche positivo ma quando viene usato dalla politica come strumento di propaganda cade spesso nel ridicolo, come quando qualcuno si proclama cattolico romano e non perde occasione per criticare il Papa. Ad esempio l'identità italiana pura e cristallina non esiste: uno dei nostri capisaldi gastronomici è la pasta col pomodoro, di derivazione in parte araba e in parte americana.
PATRIA e NAZIONE
Secondo il celebre storico il termine Patria andrebbe sostituito col più innocui "appartenenza", e non sempre coincide con una nazione: Dante sa di essere italiano, come Petrarca e Boccaccio ma la sua patria è Firenze. In Ucraina il concetto è ancora più sfumato: gli zar dicevano ad alcuni ucraini che erano dei "piccoli russi", altri si sentivano polacchi o austriaci, certo non russi.
Poi nasce l'ucraina indipendente e fa felice i secondi mentre quelli che si sentivano russi erano a disagio, si sentivano in un paese straniero. Però poi anche in alcuni di loro nasce un senso di appartenenza alla nazione ucraina, anche a causa della carestia indotta dal regime staliniano.
D'altra parte c'è l'invasione nazista e lo sterminio degli ebrei e questo viene tralasciato dalla propaganda Ucraina dimenticando il prezzo enorme che pagarono i sovietici combattendo contro la Germania per la liberazione dell'Europa.
Anna Foa riflette invece sulla situazione dei palestinesi, ricordando come la convivenza di due popoli nei medesimi territori era sperabile fino agli anni 30 oggi, mentre oggi sembra impensabile ma rimane l'unica soluzione possibile, la costituzione di due stati. Ci sono però ancora le Shalom: esperienze-pilota nate nel 1969 di città in Israele in cui la convivenza alla pari di ebrei e palestinesi fa dimenticare le identità conflittuali.
OCCIDENTE
Bisogna spiegare che studiare l'Occidente non è l'unico approccio possibile alla storia ma è sicuramente il più utile per i popoli europei.
E' impossibile stilare un unico programma scolastico europeo anche se oggi siamo più interconnessi e la storia dell'Europa oggi ci unisce maggiormente.
Sicuramente non bisogna insegnare la nostra superiorità perché ci sono molte democrazie occidentali che stanno scivolando nella dittatura: Israele non è più una democrazia visto non c'è il rispetto di tutti i cittadini. Quando la propria identità sionista viene usata per prevaricare e per affermare il proprio colonialismo assume tutti gli aspetti negativi.
Barbero cita a questo proposito Marc Block "rivendico il mio essere ebreo solo quando ho di fronte un antisemita".
ORNELLA VANONI
Vincente o perdente (La nave di Teseo)

Tra gli incontri più esilaranti e anticonvenzionali sicuramente un posto di primo piano lo occupa quello con la signora della canzone italiana, irriverente, refrattaria a qualsiasi luogo comune, dalla battuta pronta e tagliente, davvero uno spasso di verità, riflessioni, satira, e (auto)ironia.
Il grande produttore Stefano Senardi, presente all'evento, consiglia l'acquisto del libro notando che "non sembra, ma Natale è vicino"? Lei risponde "Smettila, ma che vicino, fammi andare al mare un giorno prima!"
Il coautore e grande cantautore, Pacifico ne loda il carisma raccontandone il primo incontro come avesse conosciuto una divinità? Lei sottolinea soprattutto le risate fatte insieme, e il fatto che "scrivere con un uomo permette di creare canzoni più complete perché mettono insieme il punto di vista di entrambi i sessi"
Il produttore, sempre per promuovere il libro, ne cita la quarta di copertina? Lei lo prende in giro con fare da prof: "Senaldi, dicci, ma sei sicuro di averlo letto tutto o hai letto solo quella?
Il cantautore si produce in un panegirico un po' troppo enfatico descrivendo la biografia come "una confessione aperta e sincera leggera e ironica: alla fine troviamo Ornella, non più la Vanoni"? Lei lo liquida così: "Bravo, fammi l'epitaffio".
Uno dei cavalli di battaglia del Vanoni-pensiero è proprio questa sua attitudine di scherzare con allegria e noncuranza con la morte, parlando di temi importanti come l'eutanasia o l'anzianità, ancora senza sfiorare i luoghi comuni: "Oggi è un argomento tabù ma fa parte della vita, la vita non ci sarebbe senza la morte, e pensarla vicina ci aiuta a essere felici. Finché c'è qualcosa da dare voglio vivere, poi quando non ne avrò più posso andarmene tranquillamente via. E' meglio che cali il sipario mentre si è ancora attivi, non è obbligatorio rimanere non avendo altro da fare che aspettare la morte, si può decidere di andare e scegliere una dolce morte."
Ammette però che questa consapevolezza l'ha maturata nel tempo dopo una serie di cadute da cui è riuscita a rialzarsi e rinascere, tante depressioni che se riesci a superarle di lasciano migliore.
"Il dolore ti fa capire chi sei, anche perché la depressione ti lascia da sola, quindi sei obbligata a un'autocoscienza che ti porta anche a capire meglio gli altri. Anche la malinconia, se la tieni sotto controllo e non scivoli nella tristezza, è bella." Troppo politicamente corretta? Niente paura. Ecco l'affondo: "Il segreto sono gli psicofarmaci. Me li vogliono togliere quando sto meglio. Ma se sto meglio è proprio perché li prendo!"
Ecco perché ci sembra credibile quando Pacifico confessa l'estrema facilità con cui hanno scritto il libro: "E' bastato un registratore e un taccuino, lei è perennemente innescata". L'idea iniziale era un libro su Milano "Non mi piace più. Dov'è finita la Milano amorevole e accogliente di Gaber Jannacci e Fo? Perché è dovuta diventare a tutti i costi una città per miliardari? Ha voluto troppo diventare una brutta copia di Londra e New York e ha perso la sua anima." Però per fortuna hanno virato su un'opera che andasse a scandagliare le emozioni di una grande artista, immaginando di raccontarle a una bambina di 10 anni che è la Ornella di tanti anni fa. Perché bisogna amarsi per fare, chi non si ama non ha la forza di fare nulla.
Ecco allora affiorare le sue grandi passioni e i suoi grandi amori. Giorgio Strehler ad esempio, la cui relazione con grande differenza di età fece scandalo e causo il dolore di tutta la sua famiglia. Un giorno il regista la prese e le disse "Ama!". "Non ho mai capito il significato di quelle parole. Semmai avrebbe dovuto dire: Amati".
Auto-stima sì, ma meglio l'auto-ironia. "La più grande voce italiana, nonostante non abbia mai imparato canto"? "Non esagerare, che mi do delle arie" "Donna intelligente"? "Piano con gli aggettivi, preferisco 'nonna interessante'".
Infatti nemmeno sul bilancio finale della sua vita ha delle certezze, tanto che lascia piena libertà di interpretazione al lettore. Il titolo è infatti "Vincente o perdente" senza punti di domanda.
Rimangono da registrare alcune battute apparentemente fuori contesto, ma che stanno perfettamente nella logica del cazzeggio d'autore con cui ha intrattenuto irresistibilmente il pubblico del Salone.
"Dov'è finita la sinistra? Magari ce lo dice Cacciari. Ma io non capisco nulla quando parla."
Intanto una voce fuori campo segnala una persona che si è smarrita. "Ma chi si è perso, un bambino? Auguri, la madre sarà fuggita su una spiaggia di Rimini"
"La cosa che più amo di me? L'ironia. E' lei che mi ha salvato. Senza sarei solo vecchia. E la tenacia: se qualcuno mi dice che non so fare qualcosa io la faccio."
"Il mio prossimo libro sarà sul mio cane, Ondina. E' una grande nuotatrice, la Pellegrini voleva portarla alle Olimpiadi di Tokyo"
"Non ho più niente da dire. Fin a quando dobbiamo stare ancora qui? Forse finché trovano il bambino."
Risate e applausi.
Sipario.
ROBERTO VECCHIONI
L'orso bianco era nero (Piemme)

Roberto Vecchioni ha ormai tra valicato i confini del cantautorato ed è diventato a tutti gli effetti un intellettuale a tutto tondo, saldando la propria attività di professore, per lunghi anni al liceo e ora all'università, a quella musicale e di uomo di cultura e spettacolo. Il comun denominatore è l'amore per la parola, cantata, scritta o analizzata che sia. Un amore che nasce prestissimo nella biografia dell'autore di Samarcanda, alla tenera età di un anno e mezzo, quando scopre il potere salvifico, taumaturgico della parola. Ha fatto letteralmente la pipì fuori dal vaso e lo sposta sotto il cavallino a dondolo commentando con questa giustificazione: "Cavallo pipì terra". Bastano tre paroline magiche per scaricare la responsabilità della marachella al cavallo: una vera e propria epifania che gli fa comprendere quanto la lingua sia formata di questi poliedri che danno luce alla realtà riflettendosi in mille colori e sfumature diverse. La passione per il logos si moltiplica a mano a meno che la sua conoscenza dell'italiano prima e del greco poi ne disvelano la ricchezza, come aprendo un ricco scrigno pieno di tesori.
Non è solo in questo incontro il prof della canzone italiana, viene stimolato dalle domande, intriganti e competenti, dei giovani componenti di un gruppo di lettura, uno di quei simposi, oggi in grande espansione, che trasformano in socialità la lettura, confrontandosi e mettendo in comune la passione per i libri.
La prima domanda gli chiede di scegliere alcune parole che sono state importanti nella sua vita.
"Amore e la parola che compendia tutto". Non solo riferita al sentimento amoroso, ma anche al fatto che tutte le cose del mondo sono legate, fanno parte di un unico universo.
Poi cita il termine 'umanesimo', che fa riferimento alla cultura che parla all'uomo e dell'uomo, che lo rende più libero, più aperto agli altri e più capace di esprimersi ed esprimere appieno il cuore del proprio essere: più ci sono parole e più c'è democrazia e libertà. Le parole hanno il compito di unire e annullare le differenze: saper parlare ci avvicina agli altri.
Un'altra domanda fa riferimento un luogo comune per cui chi sta dietro a una cattedra impara dai propri studenti più di quanto insegni. Vecchioni rivela che non è affatto un modo di dire ma davvero i suoi allievi nei suoi sessant'anni di didattica gli hanno chiarito molte idee di cui non era sicuro e gli hanno fatto imparare molte cose che non sapeva del tutto. Essendo un figlio del 900, il secolo che definisce il più bello della storia, il più denso di scoperte e avvenimenti, senza l'aiuto dei giovani non sarebbe mai arrivato a comprendere il 2000, invece capisce la rap e la trap, che sono dei codici che i millennials usano per salvarsi e dire basta alle assurdità, poi torneranno a un'arte più simile alla nostra.
Passando al suo ultimo libro, proprio dedicato alla "storia sofferta delle parole" ammette una certa fatica con cui ha scelto tra i suoi tanti appunti sull'argomento, ovvero lo spiegare come la parola sia dilagata da una radice e poi esplosa, in una serie infinita di rivoli, sotto-termini, derivate, composte, etc. E' un lavoro simile a quello di "un cacciatore di farfalle": quasi tutte le parole vengono dallo stesso Big Bang. Il primo suono pronunciato dall'uomo è stato quello più semplice, con cui noi tutti esordiamo da neonati: la M, che abbinata alla vocale A forma le fonazioni più belle, ovvero MA, da cui deriva 'mamma' e AM, da cui nasce 'amore'. Da questa eruzione primordiale è partita una marea di faville.
Inoltre il libro si occupa di una delle sue grandi passioni: l'enigmistica. Tutti i più grandi scienziati e letterati creano enigmi. A partire dai più noti, come quello del barbiere: "In una città c'è solo un barbiere che fa la barba solo a chi non se la sa fare da solo. Chi fa la barba al barbiere?" E' insolvibile, a parte con delle forzature.
Ci sono enigmi nella Bibbia, nella latinità, nella cultura greca, Sofocle ad esempio creò il celebre Enigma di Edipo: "Chi cammina il mattino su quattro zampe, il pomeriggio su due e la sera su tre?"
E aldilà della sua importanza enigmistica sintetizzava la vita dell'uomo che nasce a quattro zampe, poi da adulto è in posizione eretta e da anziano si appoggia a un bastone.
Ma il prof ama anche i bisensi, come "mezzo minuto di raccoglimento" che definisce il cucchiaino, nel senso che è un mezzo piccolo per raccogliere, come anche la crittografia, ed ha trasformato anche questo hobby in una professione, scrivendo sotto pseudonimo scrive per le riviste di enigmistica.
Un'altra domanda si riferisce a una citazione tratta dal libro che definisce etimologicamente l'amore come il contrario della morte (a-mors): perché allora si muore d'amore?
Vecchioni risponde che si tratta più che altro di una astrazione letteraria: Catullo dice che sta morendo d'amore e usa immagine dell'aratro con le zolle per definire come l'amata lo sta distruggendo, aggiungendo che un amore felice non sarà mai così intenso come un amore infelice.
A un attore hollywoodiano hanno chiesto se mai l'intelligenza artificiale potrà creare opere d'arte migliori di quelle umane. Ha risposto di no perché non sarà mai in grado di provare dolore
Morire d'amore è proverbiale, è un artificio, ma non si muore davvero d'amore, si muore per una forma malata di possessione che non può essere derubricata come amore vero e proprio.
L'ultima domanda gli chiede di scegliere quale, tra le varie attività che hanno contraddistinto la sua carriere, è quella che ama di più. Roberto Vecchioni sceglie l'insegnamento, specie gli anni nel liceo. Siamo convinti che ne siano stati entusiasti anche quei fortunati allievi, che hanno potuto godere dell'entusiasmo profondo e contagioso del suo eloquio.
LUCIANA LITTIZZETTO dialoga con… NUZZO e DI BIASE, FEDERICO BASSO e FRANCESCA CRESCENTINI
La leggerezza nel racconto della famiglia sui social

Nella nuova dirigenza del Salone per la seconda edizione Luciana Littizzetto si occupa della sezione leggerezza, e i suoi incontri analizzano le varie facce della comicità in vari ambienti, confrontandosi con attori, cabarettisti, autori. Inutile dire che si tratta degli eventi, più seguiti, affollati e anche divertenti di tutta la kermesse, e questo a cui abbiamo assistito lo è stato in maniera particolare, trasformando in gag e battute tutti i momenti, anche le riflessioni più serie.
L'autoironia la fa da padrona, specie nella celebre coppia, formata da Corrado Nuzzo e Maria Di Biase. Partiti da Mai Dire Goal e Zelig, sono passati al cinema e ora sono presenze fisse alla radio.
Maria arriva trafelata come se avesse corso una maratona: "Ho fatto 5 passi di seguito oggi, ho battuto ogni record". Ma non c'è microfono per Francesca Crescentini, in arte Tegamini, (l'unica non comica vera e propria ma nota per aver riempito i social con divertenti video che hanno come protagonisti inconsapevoli i suoi due bambini). Il gelato viene tolto proprio alla coppia che essendolo anche nella vita, si stringe un po' e ne userà uno in due "così può anche limonare" (copyright Littizzetto).
Gli fa eco Federico Basso, cabarettista di scuola Zelig, di cui è stato anche autore, anch'esso molto attivo sui social, dove ironizza sulla sua vita di coppia "questi problemi di microfoni vi fanno capire che siamo in diretta".
Nuzzo invece si è preparato per il consesso culturale, chiedendo ai suoi followers alcune frasi "per sembrare intelligente", e le sciorina, completamente decontestualizzate, tipo "Siddharta è un romanzo di formazione".
La questione che si solleva subito riguarda la genuinità: ci si mostra proprio come si è nella vita nei reel dei social? Nuzzo sostiene, ma ci crediamo poco, che sono molto finti nei video postati. "Maria nella vita in realtà ha molti più filtri." E racconta quando voleva rifiutare una parte in "Odio l'estate" con Aldo, Giovanni e Giacomo, perché sosteneva di essere "un'attrice invernale". Aveva semplicemente paura di mostrarsi in costume, ma poi ha finito per girare anche una breve scena di nudo.
Vengono mostrati, per le risate del pubblico, alcuni esempi delle prove on-line dei partecipanti. Di Nuzzo e Di Biase vediamo la spassosissima testimonianza di un golfino pregiato di Corrado che Maria ha messo sciaguratamente in lavatrice, rendendolo irrimediabilmente a vita talmente alta da mostrare l'ombelico, tanto che ora "è su Vinted".
Di Basso invece ci viene mostrata una esilarante parodia delle rassegne stampa televisive, basate però sui post-it lasciati sul frigo dalla compagna ("non si vede la Rai", "vado e torno", "non chiudere l'armadio", trattati come notizie da prima pagina.
La dimostrazione di queste creazioni video dimostra per la padrona di casa 'Lucianina' che i comici scrivono, c'è un gran lavoro anche dietro queste piccole pillole di comicità.
Stesso discorso per le tenere cronache d'infanzia di Tegamini, la quale prende spunto dalle sorprendenti uscite prodotte dai bambini (specie quelli di oggi, che 'risputano' nei modi più imprevedibili i tanti input multimediali che li circondano) per commentarli in meme virali: "ABRACALABRIA! Cesare per il regionalismo nell'arte magica"; "HO IL CUORE CHE BALLA PERCHE' IL MIO CUORE HA LA FELICITA'. Cesare, a tanto così da farmi accusare di invenzione"; "MAMMA, TU MASSAGGIAMO LA SCHIENA MENTRE FACCIO LA PIPI'. Cesare, il Sultano".
L'attenzione si sposta sugli animali domestici: il cane diffidente di Maria e Corrado, che si rifiutava di girare uno sketch perché non si fidava del cibo che gli veniva offerto e il gatto di Basso, che lo stesso comico doppia, facendo lo schedule della giornata: "mangiare, dormire per tre ore, fare degli scatti improvvisi senza senso".
Stessa tecnica per Tegamini che interpreta invece i pensieri del bambino, con una vocina sadica con cui annuncia alla povera madre tutte gli imprevedibili inconvenienti che si appresta a causarle.
Nasce dalle riflessioni ad alta voce che lei stessa pronunciava perché si era accorta che sentendo quelle voci il bimbo si addormentava più facilmente.
Stilando alcune linee guida della comicità sui social viene sottolineata l'importanza di guardare la realtà con un punto di vista storto, sghembo, ma senza mai perdere l'immediatezza, la spontaneità.
Lo stesso Basso ha scoperto che video realizzati con troppa qualità ricevevano molte meno visualizzazioni di quelle girate all'impronta senza nessuna attenzione alla regia o al montaggio, cotte e mangiate. Di solito li pensa al mattino, li scrive, li gira e li posta nel mezzogiorno.
Possono nascere da appunti pregressi o trarre ispirazione da fatti di attualità, come quello dei tre cardinali durante il recente Conclave.
Infine la riflessione si sposta sulla dittatura del politicamente corretto, che impedisce al comico di fare il suo mestiere, perché si dovrebbe poter ridere su tutto, invece a forza di limitare la satira diventiamo incapaci di ridere.
Basso, che ha fatto il catechista e testa i suoi pezzi sui suoi amici preti rivendica di non fare satira ma cabaret, mentre Nuzzo ricorda l'aneddoto legato a un suo personaggio, un prete molto scorretto. Era in un programma scritto con Enrico Vaime (Nuzzo: "Mi ha insegnato tutto." Di Biase: "Non si vede"). Di fronte alle polemiche e alla reazione scandalizzata di molti ascoltatori gli propose di non interpretarlo più, ma Vaime si oppose: "E' il pubblico che deve cambiare, non noi".
Luciana Littizzetto nota che sul 9 c'è molta più libertà che non in Rai, ma rimpiange anche lei la tv del passato in cui davvero si poteva dire tutto: "Vianello ad esempio era cattivissimo"
Vediamo un altro esilarante video di Maria e Corrado, in cui lei interpreta sé stessa, ovvero la moglie ansiosa accanto al marito guidatore. Alla fine si scopre che l'auto non è nemmeno partita: "Siamo ancora al parcheggio".
Il segreto del loro feeling sta sicuramente nella loro biografia: davvero si divertono molto l'uno con l'altra, anzi, stanno insieme per questo motivo. Lei: "Corrado mi fa davvero ridere". Lui: "Specie quando mi vede nudo. Oggi non volevo parlare di tragedie, ma stiamo insieme da 29 anni. Non siamo sposati perché non abbiamo avuto tempo, ma è difficile dopo tutti questi anni far ridere il proprio partner. Inoltre ci facciamo molti scherzi. All'inizio non ci cascava perché diceva che non sapevo recitare, ora grazie a lei ho imparato e le burle riescono molto meglio".
Viene chiesto a tutti la differenza di approccio della comicità televisiva, teatrale e sul web.
Basso risponde che a teatro si respira, la gente è venuta apposta per ascoltarti quindi sei relativamente rilassato, mentre sul web hai solo 2 secondi e mezzo per catturare l'attenzione e far sì che il visitatore scelga te rispetta a una serie infinita di video concorrente. Una volta i tempi serrati della tv, che ti obbligava a stare nei fatidici 5 minuti, sembravano pochi ora sono un'eternità.
Però Nuzzo ammette la gioia di scoprire che qualcosa può essere detto in pochi secondi.
Come ultima domanda viene chiesto cosa fa ridere i presenti.
A Basso fanno ridere le cose di tutti i giorni, come la propria incapacità, pur essendo perito, a caricare correttamente la lavastoviglie sfruttando tutti gli spazi. E' qualcosa che funziona perché tutti ci immedesimiamo, visto che è un compito che tutti bene o male dobbiamo svolgere, e sapere che non sei l'unico ad avere quei problemi tranquillizza, è terapeutico.
A Nuzzo e Di Biase fanno ridere i casi umani, come le persone malmostose, come ad esempio una loro vicina che quando la salutavi rispondeva: "Sarà un buongiorno per voi!".
Alla Littizzetto fanno ridere molto anche le persone dispettose, come una signora che, avendola riconosciuta in una Pescheria di Torino, la chiama a sé e le fa: "Ma lo sa che la facevo più brutta? Certo che ne prende di soldi per dire cazzate".
Si finisce con un ultimo video, di Basso, che fa scompisciare con un finto documentario di un artigiano di coriandoli, che invece di produrli a livello industriale li ritaglia uno a uno.
E qui la memoria non può che andare al celebre intagliatore di stuzzicadenti che ne ricavava uno solo da ogni tronco.
Tempi e modalità sono cambiati, ma la comicità di qualità è sempre figlia della gloriosa scuola comica italiana, che ha prodotto grandi maestri che non finiscono di ispirare tutte le generazioni di comici.
ANTONELLO VENDITTI
Fuori fuoco (Rizzoli)

Antonelli Venditti è sicuramente un'icona della canzone italiana, un testimone del suo tempo, e il libro autobiografico che presenta al salone è una bella cavalcata tra vari decenni della storia italiana tra impegno, rivoluzioni, amicizie e ideali.
Con la complicità del giornalista Gianluigi Nuzzi, suo amico e compare di scorrerie in giro per Roma, parte dai primi ricordi di infanzia, analizzando pro e contro dell'essere stato figlio unico. Tutte le attenzioni per sé ma anche la mancanza di confronto di cui gode invece chi ha la fortuna di avere dei fratelli. Inoltre un sentimento troppo esclusivo da parte della madre, professoressa di latino e greco molto possessiva, che usava il ricatto del dolore, dal pianto alla minaccia di suicidio, per tenerlo a sé, invece l'amore è "darsi tutto dal profondo" non può essere egoistico.
In mancanza di fratelli si rifugia nell'amicizia, che definisce come 'sovra-amore', legame più forte dell'amore per una donna perché più durevole
Se dovesse però scegliere un verso tra i tanti brani scritti sarebbe "Claudia non tremare se l'amore è amore", tra le tante citazioni divenute slogan inserite in Notte prima degli esami, una canzone che le contiene tutte, un vero e proprio film in musica che ha avuto successo perché parla a tutte le generazioni, ci siamo dentro tutti. Oggi la sta rivalutando e vorrebbe cantarla con un mood diverso, più lento e riflessivo. Nella società di oggi, e anche nella musica, c'è troppa velocità, tutto si consuma troppo velocemente, anche le canzoni vengono urlate, senza dinamica, mentre lui ama le sfumature, assaporare la vita. Non ha più urgenze, vive in campagna e si prende tutto il suo tempo e fa sedimentare le proprie emozioni, anche perché se lo può permettere dopo una carriera infinita, se pensiamo che Roma capoccia l'ha scritta a 15 anni.
Ha sempre avuto una sensibilità particolare, che spiega con questa immagine "io mi accorgo perfino se vola una mosca a Baghdad": quasi una capacità extra-sensoriale la sua: nonostante sia quasi cieco da un occhio e viva quasi da invalido civile, col sesto senso capisce e sente cose anche lontane da lui.
Vive anche le malattie degli altri come se le patisse lui, quando Papa Francesco stava male, ha vissuto un periodo tremendo.
Soffre anche per le ingiustizie: secondo lui non è la bontà la qualità migliore, Gesù non era buono, era giusto, e bisognerebbe suddividere il mondo tra giusti e ingiusti, non tra bene e male, anche perché ignoriamo il gioco enorme in cui siamo tutti vittime, basato su bugia e sopraffazione.
Dall'altra parte è difficile riconoscere dove sta la giustizia: anche le Ideologie si sono rivelate fallaci, friabili, e oggi domina la chiacchiera, invece di mettere al centro il rispetto per la vita umana, per il pianeta, per il futuro che lasciamo ai giovani.
Tra i punti di riferimento gli piace il nuovo Papa, anche se con Bergoglio aveva un rapporto particolare, gli somigliava molto, ed era legato a lui in quanto gesuita. Da piccolo (e qui troviamo una somiglianza con la biografia di Ligabue) era stato in punto di morte e la mamma vide in sogno San Francesco Saverio, santo gesuita, che gli diceva "Tuo figlio si salverà"
Di Papa Francesco amava il linguaggio semplice e schietto, mentre Leone XIV è più raffinato più complesso.
Riguardo la fede ci racconta una dicotomia tra Venditti, molto religioso, disposto a seguire Cristo in tutto (anche se in Gesù c'è una lacuna, non ha fatto in tempo a invecchiare e gli manca quella prospettiva), e Antonello, che invece professa convinzioni laiche come la libertà di abortire e il matrimonio gay: la fede non può negare la libertà di scelta ai non credenti.
Racconta poi com'è nata la sua carriera: si presentò a Giancarlo Cesaroni, storico discografico direttore del Folk Studio (uno dei tre punti di riferimento per la musica di quell'epoca, dedicato al rock cantautoriale, mentre il Piper era più borghese e il Titan metallaro) celebre per aver negato rifiutato il palco a Bob Dylan, che invece approvò il repertorio che Venditti gli propose e lo fece debuttare nello storico locale, dove conosce Francesco De Gregori, che si esibiva con cover di Dylan e Cohen alternate alle sue prime canzoni, tra i due giovani cantautori nasce una amicizia profonda. In Francesco trova il fratello che non ha mai avuto e tuttora vive con lui un legame di misteriosa intimità che non ha mai provato per nessun altro, e che ha vissuto ancora più intensamente durante la recente tournée che li ha visti esibirsi insieme, segnata purtroppo dalla morte della moglie di De Gregori.
Cesaroni scommette sul giovane musicista, sicuro del suo futuro successo, ma il suo problema è che si accompagnava al piano, strumento molto difficile da trovare nei locali: da cui nasce il "pianoforte sulle spalle" di Notte prima degli esami.
Ma tutte le sue canzoni nascono da episodi di vita vissuta, e continua a seguire i personaggi che ha messo in musical: Piero è in Brasile e Cinzia a Macerata, l'aspetto di raccontare storie nelle canzoni lo accomuna con Lucio Dalla, di cui gli manca l'umanità, la curiosità e la versatilità con cui univa tutte le arti: musica, teatro, pittura, musical. Aldilà della sua arte e delle canzoni che ci accompagnano ancora, gli manca il Dalla-uomo, la sua fisicità, la sua voce parlata, che era unica.
Non ama infatti le fiction che omaggiano i grandi del passato facendoli interpretare da attori: Dalla sarebbe impossibile da ricreare, come è stato col film di Berlinguer, per quanto Elio Germano sia stato molto bravo è un personaggio non riproducibile. Per questo quando si è trattato di girare una Docufiction sulla propria vita ha preferito fare da solo, senza un attore che ne interpretasse la vita.
Vita che definisce un gioco incredibile, da affrontare appieno fino alla fine finché se ne ha la forza, finché l'entusiasmo ci fa alzare la mattina.
E ancora una volta ci viene in aiuto una sua canzone "Che fantastica storia è la vita".
SERENA ROSSI
L'arte della parola, tra letteratura e scena

Dulcis in fundo, ecco questo incontro patrocinato dalla Regione Campania, che ha nominato Ambasciatore della cultura napoletana nel mondo Serena Rossi, versatile e talentuosa attrice la cui carriera attraversa i generi e i media, dalla fiction al teatro, dal cinema al musical, dal doppiaggio alla canzone.
Vista la sede si comincia riflettendo sul passaggio dalla carta stampata al cinema, e il pensiero non può che andare a Mina Settembre, il personaggio televisivo che le ha dato definitivamente la notorietà.
Serena ammette una certa responsabilità con i lettori, che hanno già nella loro mente una proiezione visiva del protagonista di un libro, ed è facile quindi deluderli. Ulteriore difficoltà era trasformare in una fiction di lunga durata (siamo già alla terza stagione, 36 episodi in tutto) una serie di piccoli racconti del napoletano Maurizio De Giovanni.
Si trattava quindi di catturare l'anima del personaggio, aldilà di una pedissequa riproduzione delle sue caratteristiche fisiche. Così come Montalbano, che nei libri di Camilleri era baffuto e con molti capelli e con la scelta di Luca Zingaretti ha preso tutta un'altra strada a livello fisico, anche Mina sulla carta era molto diversa dall'aspetto armonioso di Serena: era Bassa, goffa e occhialuta.
Ma è stata comunque catturata l'essenza del personaggio, e la sua goffaggine trasformata in semplicità, in umanità: non sembra mai truccata né è mai vestita in modo appariscente o nel tentativo di apparire avvenente.
Lo stesso rischio di delusione si corre per i lettori che affrontano i romanzi dopo aver visto la fiction, che non vedono l'aspetto visivo degli attori rispecchiato nelle descrizioni letterarie.
Un'altra esperienza della Rossi nata da un romanzo ha alle spalle una storia piena di impressionanti coincidenze. Si tratta de "Il treno dei bambini", romanzo di Viola Ardone che racconta la solidarietà di alcune mamme del nord facevano delle staffette con alcune mamme del sud per togliere i loro bimbi dalla nera miseria del secondo dopoguerra, accogliendoli per un certo periodo nelle loro case al nord. Serena racconta di aver letto il libro su consiglio della suocera, e di esserne stata sconvolta, soprattutto perché la sua stessa famiglia ne era stata protagonista: la Nonna Concetta, che ora ha 85 anni ed è a sua volta madre di otto figli, aveva preso quel treno ed era stata accolta a Modena per tre mesi ("gli unici tre mesi di infanzia in tutta la mia vita"), e ne era tornata completamente cambiata, ingrassata e con un vistoso accento romagnolo, tanto che la madre alla stazione non l'aveva riconosciuta. Questa storia, raccontata poco per il pudore che sempre accompagna la povertà, ha un esito ancora più imprevedibile quando la regista Cristina Comencini scrittura l'attrice per la versione cinematografica. Proprio durante le riprese riesce a rintracciare uno dei figli della coppia che aveva ospitato la nonna ('la mamma e il papà del nord' li chiamava) e li fa incontrare.
Passando alla sua più recente esperienza teatrale, SereNata a Napoli (qui potete leggere la recensione di Alessandro Caria) l'attrice sottolinea l'importanza storica e umana delle canzoni napoletane, che presenta in un largo ventaglio che parte da fine '800 a metà anni 50: una serie di fotografie della realtà, di cartoline di un periodo. Con momenti di poesia altissima: da "Dicitencello vuie", appassionata confessione d'amore che all'inizio sembra diretta a una amica dell'interlocutrice, ma poi si scopre che è lei stessa, oppure la Tamurriata nera, che sembra una canzoncina spensierata ma racconta dei figli (uno di questi era James Senese, storico saxofonista di Pino Daniele) nati dalle relazioni tra i soldati americani di colore e le ragazze del sud nelle città che si erano auto-liberate dal nazi-fascismo senza aspettare l'esercito USA.
Perché il canto è il primo amore di Serena Rossi, respirato in famiglia dal nonno, autore per Mario Merola, la nonna, che cantava ai matrimoni e dalle feste col Canta Tu fino ai primi ingaggi come cantante di piano bar.
Poi la folgorazione del teatro: il musical Hollywood all'Auguste di Napoli e la consapevolezza di voler intraprendere quella carriera che univa tutte le sue passioni.
Paradossalmente però i primi contratti di un certo livello sono legati alla recitazione, anche perché all'epoca c'era meno libertà e gli agenti ti spingevano a scegliere una sola strada, e decise di mettere da parte il canto. Poi per fortuna è venuto il doppiaggio di Frozen, trasmissioni come Tale e quale show, la fiction su Mia Martini e Amore e malavita al cinema, tutte esperienze in cui è riuscita a unire il canto e la recitazione.
Non è solo talento però: tutte le sue esperienze sono frutto di grandissimo impegno, si sente una maniaca del controllo. Quando le propongono un progetto non si sente mai pronta, pensa sempre di non essere in grado, poi lavorandoci, studiando e approfondendo arriva a poterlo affrontare. Tutto passa da un processo di maturazione delle emozioni, che consiste nel trovare quei pochi elementi di una parlata, di una movenza, che definiscono un ruolo, un personaggio, senza esagerare.
Il personaggio dei suoi sogni è Filumena Marturano, ma si sente ancora troppo giovane, forse tra 10 anni. Sperando anche che si colmi il divario di genere: si sono fatti molti passi avanti ultimamente, ad esempio ai David 7 premi su 21 erano a donne ed è stata finalmente riconosciuta anche la presenza delle donne nella regia, però il gap è ancora molto consistente nei cachet: i maschi guadagnano ancora molto di più, nonostante le fiction di maggior successo sono al femminile: oltre a Mina Settembre Lolita Lobosco e Imma Tataranni. "E' una vergogna" aggiunge senza mezzi termini "anche perché ve lo immaginate un red carpet con solo maschi?"
EPILOGO
Come bonus-track, ecco le registrazioni integrali dei due interventi al Salone di Marco Travaglio, da solo e con la scrittrice Daniela Ranieri.