Serena Rossi in SereNata a Napoli
di Alessandro Caria
Tutto il Teatro Duse di Bologna in piedi per Serena Rossi, ieri sera alla prima di "SereNata a Napoli". Una standing ovation spontanea e festosa per la cantante e attrice partenopea che ha incantato, commosso e divertito un teatro gremito di gente con il suo emozionante spettacolo.
Uno spettacolo che è un omaggio appassionato alla sua città, un ritorno alle sue radici, di cui Serena racconta con passione il mito: la Sirena Partenope ha fallito, Ulisse è riuscito a resisterle, l'eroe greco, il sagace re di Itaca, non si è fatto sedurre. A niente è valso il canto ammaliante, a niente le dolci melodie. Partenope non può che gettarsi in mare e il suo corpo viene trasportato dalle onde fino alle coste campane. Là dove vengono ritrovate le sue spoglie sorge una città, Partenope, detta in seguito Napoli. Ma Serena sostiene che bisogna amare la vita, sempre. Non vale la pena uccidersi dopo un amore sfortunato. "Per Ulisse, poi…", conclude con beffarda ironia.
Che notte! Che notte! Che luna! Che mare!
Stasera mme pare scetáto 'e sunná
Cu st'aria serena ca scippa da 'o core
Suspire d'ammore durmí nun se pò!
E con questa atmosfera davvero "serena" (da Nuttate 'E Sentimento) parte questo viaggio tra i grandi classici della musica napoletana e racconti personali, che hanno intrattenuto il pubblico con la versatilità di un doppio registro. "Qui siamo per le emozioni amplificate, sia nel bene che nel male, sappiamo piangere assai ma pure ridere allo stesso modo", ha detto sorridente dal palco citando Massimo Troisi ("song così felice che' me vien a chiagnere).
Serena Rossi segue le orme tracciate da da Roberto De Simone che sapeva restituire una Napoli città-mondo, un doppio del mondo. Tutto ciò che c'è nel mondo c'è a Napoli e tutto ciò che c'è a Napoli, prima o poi, sarà nel mondo.
Cerchi la guerra? C'è la guerra. Cerchi l'occupazione straniera? C'è l'occupazione straniera. Cerchi l'ingiustizia sociale e il riscatto? Ci sono. Cerchi la letteratura e la psicanalisi, la santità e il peccato, la voglia di vivere e il suicidio, il divertimento e il terrore, il cielo e l'inferno, l'illuminismo e la magia? Ci sono.
Serena ricorda con orgoglio come la sua città natale sia stata la prima città italiana ad insorgere e liberarsi dal nazi-fascismo, scandendo le storiche quattro giornate 27, 28, 29 e 30 settembre. Per la prima volta in Europa i nazisti trattavano una resa di fronte a degli insorti che hanno agevolato l'arrivo degli Alleati. Ma la guerra è sempre distruzione, polvere, morte. E qui comincia Tammurriata Nera, che Serena si cuce addosso in una sorta di dionisismo e trance che fa letteralmente esplodere il Duse. È un brano liberatorio, viscerale. È una canzone che molti hanno definito razzista, ma in realtà parla di inclusione, dei figli della guerra nati dopo che le truppe alleate entrarono a Napoli. Si sono uniti a donne napoletane per amore, fame e, a volte, per violenza. Sono nati bambini neri, ma che si chiamano Ciro. Figli di questa terra. È l'emblema dell'accoglienza, sempre attuale anche in questo momento storico. Del resto – ricorda Serena – "I figli so' tutt'eguali, so' piezz 'e core", come faceva dire Eduardo De Filippo a Filumena Marturano.
Poi, sedendosi in proscenio, con toccante delicatezza Serena racconta dei "treni della felicità", di quei treni che grazie al PCI portava i bambini meno fortunati di Napoli in Emilia-Romagna nell'immediato dopoguerra, ospitati da famiglie e ricevendo cibo, cure e un rifugio per un paio d'anni e dopo tornavano dalle loro famiglie, spesso mantenendo i contatti con le famiglie che li avevano ospitati. E non lo fa solo perché reduce dal bellissimo film con la regia di Cristina Comencini, ma anche perché in uno di quei treni c'era pure sua nonna.
C'è anche spazio per la figura della prostituta, raccontata da Raffaele Viviani, di cui Bammenella è icona di fierezza.
"SereNata a Napoli" non è un semplice spettacolo di canzoni. È un vero e proprio spettacolo teatrale a tutti gli effetti. La musica è protagonista, ci sono 18 brani, ma sono a servizio di un racconto. Le canzoni sono legate, arricchiscono quello che si racconta così come le proiezioni di alcuni acquerelli che prendono vita, oltre a immagini dell'Istituto Luce che scorrono alle spalle della protagonista. Serena non è sola. In scena c'è la musica, le immagini e sei meravigliosi musicisti che l'accompagnano e con cui interagisce. Le fanno un po' da spalla, la prendono in giro, la rimproverano.
Il viaggio è proseguito raccontando con umorismo come Dove Sta Zazà sia in realtà una canzone di disperazione, come a Napoli il vero terzo incomodo è la suocera, vedi Io E Mammeta E Tu. Ricorda che a Napoli, sempre con questo vezzo per l'eccesso, la parola amore si scrive con due M ma che per dire 'ti amo' si preferisce il celeberrimo 'te vojo bene assaje', ed ecco un esilarante medley a cappella che lega frasi di canzoni di autori napoletani di questi anni.
E dopo aver scaldato il cuore con Munastero E' Santa Chiara, Alla Fiera Di Mastandrea, Era De Maggio, Dicitencello Vuje, il viaggio di Serena termina con Reginella cantata con tutto il pubblico. Canzoni immortali, come il suono del tamburo di Tammurriata Nera, che continueranno a vibrare nelle corde di chi sa ascoltare il respiro del passato.