Toni Servillo, il lusso della libertà

09.11.2024
Torino: Teatro Carignano

Personaggio sui generis Toni Servillo. Pluripremiata star del cinema, mattatore teatrale classico a suo agio coi classici come con Eduardo, anima napoletana verace, intellettuale e regista raffinato.

Affonda il pennello in tale variegata tavolozza nella sua ultima, intensa prova d'attore, "Tre modi per non morire", ispirata all'omonimo saggio letterario di Giuseppe Montesano.

In una cavalcata per tre movimenti e un atto, ci accompagna in una vertiginosa salita dagli inferi, partendo dallo squallore dell'oggi iper-tecnologico e super-disumano, per elevarsi nel finale nella bellezza del pensiero, solido antidoto alla brutale solitudine che ci attanaglia.

Duro, pessimistico nei toni e nei modi il primo quadro, che si aggrappa allo spleen dei "Fleurs du mal" beaudleriani per raccontare la noia moderna, chiedendo risposte lo stesso poeta maledetto nel "Monsieur Baudelaire, quando finirà la notte?", già al centro di un recente reading Servilliano.

Curiosi i rimandi alla strettissima attualità, quando accenna a un tiranno al quale ci consegniamo allegramente perché la libertà è un bene di lusso di cui nessuno sembra più sentire il bisogno, presa come siamo da ben altre priorità.

Il secondo motivo di questa affascinante sinfonia della parola è dedicato al viaggio dantesco negli inferi. Le pagine più note, da Paolo e Francesca all'incipit, dal girone degli ignavi alla contemplazione divina, sono ancora spunti per trattare la contemporaneità e le sue prospettive/derive: la perdita progressiva di senso dell'amore, la fuga dalle responsabilità e la presa di coscienza e di posizione che non sia fanatica adesione al leader di turno, la perdita di valori che va di pari passo con l'incapacità di immaginare una realtà altra.

Ma è con la sequenza finale che lo spettacolo fornisce una chiave per superare la crisi e allontanandosi ancor di più nel tempo paradossalmente avvicina maggiormente il pubblico. Toni abbandona la recitazione affettata, le musiche lugubri e le luci apocalittiche, spegne il microfono e porta il leggio davanti al proscenio. Lo fa per parlare dei classici greci, ma ancora una volta siamo noi sotto il vetrino del suo microscopio. Vengono passati in rassegna i grandi autori e pensatori greci antichi, vengono rievocate le loro città fondate davanti al mare che prevedevano sempre un teatro (e qui torna il Servillo napoletano, anche nella cadenza). Il teatro, un luogo necessario per l'uomo, dove rivedere i propri crimini, le proprie viltà, tradimenti, omicidi. Senza filtri, pudori, tabù: altro che politicamente corretto, cancel culture, astruserie woke.

Sì ma noi? Ci avevano visti. Siamo gli schiavi nella caverna di Platone. Quelli che vedono ombre su una parete convinti di osservare la vita. Quando uno di loro scopre che si tratta del riflesso di statuette mosse da qualcuno scopre la libertà e la fatica necessaria per tornare alla luce. Vuole avvisare gli altri, ma sono tutti così assuefatti che si rischia il linciaggio a smuoverli dal piacevole torpore della schiavitù auto-imposta, dal narcisismo auto-assolutorio. Quei prigionieri siamo proprio noi. Decidiamo di non vivere e restare nella caverna delle ombre e delle illusioni in cui un po' ci tengono prigionieri quelli che non ci raccontano tutta la verità … e un po' ci piace stare, perché è comoda e diventa cosi la caverna delle nostre stesse bugie, del selfie facile, della finzione, del narcisismo, che ci tiene al riparo dalla vita vera che è ricerca dell'amore, passione, gioia ma anche sacrificio e sofferenza. 

di Sonia Bisceglia

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