Una serata nel travolgente pub di Choir of Man

03.04.2025

di Franco Travaglio

Appena oltrepassiamo le eleganti tende rosse del Teatro Colosseo per assistere alla tappa torinese di The Choir of Man ci troviamo immersi in un'altra realtà spazio-temporale. La platea ha lasciato il posto alle propaggini di un pub irlandese, il Jungle. La quarta parete è andata in frantumi e gli spettatori sono diventati avventori, salgono ad abbeverarsi al bancone (fiumi di birra gratis per tutti), brindano e si scattano selfie con gli interpreti, respirano e condividono quella tipica atmosfera alcolica, fiera e casereccia che tutti abbiamo assaporato calcando quelle tavole appiccicose e quegli ambienti fumosi, magari in un viaggio in famiglia, o in un Erasmus, o in gita scolastica.

Ci aspettavamo una tranquilla serata a teatro ma qui c'è di più. C'è vita vera, amicizia scanzonata, qui si trova una spalla su cui piangere, un fratello tifoso con cui esultare per un goal, magari di una squadra di metà classifica che fa la Champions ma viene regolarmente sbattuta fuori, qui puoi raccontare i tuoi guai e ridendone li scoprirai già mezzi risolti.

In più, oltre a bere, scherzare, raccontarsi, ridere, in questo pub si canta: da sempre c'è un coro, il Choir of Man appunto.

Ed ecco che, oltre alla filosofia spiccia da pinta, qualcos'altro ci colpisce e ci travolge. Quando parte lo show sedie, tavoli, vetrate colorate, tutto viene inondato da una marea di spumeggiante talento. Dietro le pancette da birra di quel gruppo di amici si celano nove mostruosi polistrumentisti, che quando iniziano a cantare, da solisti o in tipiche armonie folk, sfoggiano voci da urlo e una perfezione tecnica inarrivabile, non producendo altro che brividi a ripetizione. Tutto questo nonostante il tasso alcolico, visto che non fanno altro che bere per tutta la serata (ma sarà vera birra? ai postumi l'ardua sentenza).

Ho usato all'inizio il verbo 'assistere'. Niente di più sbagliato: al Choir of Man si partecipa, il pubblico viene continuamente coinvolto: a salire sul palco, ad acchiappare gli omaggi offerti dal cast durante lo spettacolo (altri bicchieri birra, ma anche pacchetti di patatine e sottobicchieri griffati), a cantare, ballare, battere le mani e a godere della tanta energia che invade la sala.

Non mancano nemmeno i momenti romantici: tenerissima la scena in cui una signora si gode la dichiarazione d'amore che The Beast gli dedica cantando Teenage Dream di Katy Perry.

I 'coristi' hanno ognuno una personalità spiccata: c'è The Pub Bore, gentile e noioso, re dei castelli di carte, c'è The Maestro, simpatico virtuoso del piano, il giovane The Romantic, appunto The Beast, chitarrista dalla voce di velluto, poi c'è Handyman, incredibile ballerino di tap dalla stazza improbabile e anche trombettista… Ognuno ha la sua storia, raccontata dal narratore del gruppo, ognuno ha un'idea di casa, ognuno è una tessera del mosaico che compone un gruppo di tipici avventori da pub col loro barista.

E tutti gli aspetti della vita del pub ci vengono illustrati e descritti da balli e canzoni, dal benvenuto iniziale sulle note di "Welcome to the Jungle" dei Guns N' Roses e di "Wake Me Up" di Avicii, passando anche dalla pisciata in compagnia nell'orinatoio cantando Under The Bridge dei Red Hot Chili Peppers mentre scorrono irriverenti zampilli, fino all'addio finale scandito dall'ultimo bicchiere con la canzone tradizionale a cappella The Parting Glass.

Difficile definire questo fenomeno che, uscito dalle menti di Andrew Kay (Soweto Gospel Choir, Noise Boys, Gobsmacked e il pluripremiato North by Northwest) e Nic Doodson (The Magnets, Gobsmacked e Noise Boys), nel 2017 si è palesato come un'epifania al Festival di Edimburgo e in pochi anni ha conquistato, Londra, l'Europa, il mondo.

Non è un musical, perché ci sono i personaggi ma nessuna trama, anche se uno dei brani più belli è The Impossible Dream tratto da Man of La Mancha. Non è un concerto perché nessun momento è costruito come un'esibizione vera e propria. Non è una commedia, perché non ci sono battute vere e proprie, anche se l'ilarità si respira a pieni polmoni.

Sicuramente si canta molto, soprattutto canzoni pop contemporanee con arrangiamenti a tema in cui predominano i cori, le timbriche e i ritmi folk, e tutti brani sono travolgenti, lenti o up-tempo che siano. Ma non mancano le riflessioni, come il rammarico per i tanti locali che vengono chiusi dalla gentrificazione delle città inglesi, e la rivendicazione dell'importanza del contatto umano, della fratellanza, della solidarietà in un mondo sempre più disumano che perde il senso di comunità.

Forse è proprio l'aspetto di novità assoluta impossibile da etichettare che affascina, in questo e altri eventi di portata internazionale, che vanno quindi gustati nelle rare occasioni in cui arrivano vicino a casa, ringraziando i gestori illuminati come Claudia Spoto del Colosseo che allungano le antenne oltre i soliti titoli e intercettano queste chicche. Per questo vi invitiamo a non perdere le restanti date italiane di Choir of Man (a Torino fino al 6 aprile, poi a Genova dal 9 al 13).

Un pub pieno di incredibili talenti non aspetta altro che aprirvi le sue porte e farvi diventare protagonisti di una serata magica di musica, amicizia, emozioni e… bevute in compagnia.

Franco Travaglio

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